Anno 1 | Numero 2 | Ottobre 1997

Questo libro si sarebbe dovuto intitolare Mi hanno sparato e sono morto, come il racconto che a me piace di più. Il veto dell’editore mi ha costretto a ripiegare su L’uomo che uccise Liberty Valance, film di John Ford che mi segnò profondamente e che al di là della materia western è una splendida metafora della storia come distruzione o perdita del mito. Un secondo veto editoriale, legato al timore di utilizzare un titolo già coperto da copy-right, mi ha costretto a escogitare il titolo attuale, Tu, sanguinosa infanzia, dove il sangue vuole evocare non tanto patetiche efferatezze da Telefono Azzurro, quanto il trauma (pezzi di carne che ci strappiamo ogni volta, shakespearianamente) implicito in ogni “crescita” o “maturazione”. Lo ammetto: si tratta del libro di un immaturo; di un libro antistorico e antidialettico; di un libro di rimpianti e struggimenti inattuali che proprio per questo, per questa intima scabrosità del tema, ho cercato di scrivere anche con una certa crudeltà scientifica, perché più si è autobiografici maggiore dovrebbe essere il pudore. Autobiografico io lo sono stato in tutti i miei libri: e proprio per questo ho sempre fatto ricorso (soprattutto in Di bestia in bestia, in Io venìa pien d’angoscia a rimirarti e ne La stiva e l’abisso) a uno stile molto “letterario”. Ma tornando a questi ultimi racconti: esistono oggetti o eventi “fatali”, nell’infanzia di ognuno, la cui fatalità rimane spesso inesplicata: cose che ci segnano e che per misteriose ragioni “non passano”, non si superano. Ad esse è dedicato il mio libro. Ne La freccia nera, ad esempio, racconto la probabile origine della mia passione – poi diventata “professionale” – per la filologia. Ero in campagna dai nonni; lessi La freccia nera di Stevenson; un giorno venne a trovarmi mio padre, con il quale intrattenevo un irresoluto rapporto materiato di paralizzanti terrori e di paralitici grumi di immenso affetto inespresso; mi regalò un libro: La freccia nera; la coincidenza mi angosciò; mi sentii in colpa per non essere in grado di godere di quel regalo; non gli dissi nulla; mi venne in mente che il “suo” libro aveva una copertina diversa da quello che avevo letto; esaminai le due edizioni; scopersi che contenevano due traduzioni differenti; le confrontai ossessivamente per persuadermi che la loro diversità rendeva La freccia nera di mio padre altra cosa rispetto a quella del nonno. Tornai in pace col mondo. Non per molto, ma per un po’ tornai in pace.

 

Il libro nel 1997

Michele Mari
Tu, sanguinosa infanzia
Mondadori 1997, p. 135
L. 26000

Oggi in libreria

Michele Mari
Tu, sanguinosa infanzia
Einaudi, 2009
Collana: L’Arcipelago Einaudi
133 p., brossura
€ 13,00

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L’autobiografia del 1997

Mi chiamo Michele Mari e sono nato a Milano nel 1955. Vivo un po’ a Roma un po’ a Milano, dove insegno Letteratura Italiana all’Università Statale. Ho esordito nella narrativa nel 1989 con il romanzo Di bestia in bestia, al quale sono seguiti altri cinque libri.

La bio nel 2017

I libri di Michele Mari (Milano 1955) sono Di bestia in bestia (Longanesi 1989; Einaudi 2013), Io venía pien d’angoscia a rimirarti (Longanesi 1990; Marsilio 1998; Einaudi 2016), La stiva e l’abisso (Bompiani 1992; Einaudi 2002), Euridice aveva un cane (Bompiani 1993; Einaudi 2004), Filologia dell’anfibio (Bompiani 1995; Laterza 2009), Tu, sanguinosa infanzia (Mondadori 1997; Einaudi 2009), Rondini sul filo (Mondadori 1999), I sepolcri illustrati (Portofranco 2000), Tutto il ferro della torre Eiffel (Einaudi 2002), I demoni e la pasta sfoglia (Quiritta 2004; Cavallo di Ferro 2010), Cento poesie d’amore a Ladyhawke (Einaudi 2007), Verderame (Einaudi 2007), Milano fantasma (edt 2008, in collaborazione con Velasco Vitali), Rosso Floyd (Einaudi 2010), Fantasmagonia (Einaudi 2012), Roderick Duddle (2014 e 2016) e Leggenda privata (Einaudi 2017). Per Rizzoli ha tradotto L’Isola del Tesoro di Stevenson e Ritorno all’Isola del Tesoro di Andrew Motion. (© einaudi.it)

Un brano da “Tu, sanguinosa infanzia”

Gli Urania del nonno erano per me la parte scura della letteratura. In quegli smilzi volumetti che mi attiravano e mi repellevano insieme il mio spirito fremebondo trovava tutta l’oscena oltranza che non trovava negli altri libri. Mi convinsi così, verso gli otto anni di età, che Il piccolo principe o Il libro della giungla fossero le prime tappe di un lungo processo iniziatico che mi avrebbe portato, dopo decenni e decenni di letture, a poter finalmente leggere, come il nonno, Il terrore dalla sesta luna di Robert Heinlein. E nomi come quelli di Heinlein, di Sheckley, di Clarke, di Simak, di Wyndham, di Matheson, di Silverberg, di Pohl, di Van Vogt formavano per me il supremo canone della letteratura occidentale, corona di spiriti superiori eletti dai mostri a rivelare agli umani le ‘mostruose leggi dell’universo: e solo dubitavo, ammirandoli, se fossero ancora persone o se, invece, assunti a tale stremo di conoscenza, non partecipassero essi stessi, nelle loro membra, di quella mostruosità. “Wyndham, Wyndham” sussurravo, e quel suono mi sembrava un vento proveniente da una città morta; “Simak, Simak”: e sentivo serrarsi chele gigantesche; “Pohl”, ed era una bolla, un’unica bolla, affiorante dal lago di melma ove si occultava la Bestia.