Una vera esplosione. Si potrebbe dire che, nel mondo dell’informazione, oggi non si comunica più sull’onda delle notizie online, ma piuttosto dentro le caselle di posta elettronica. Sono tantissime le newsletter nate e che continuano a proliferare siglate da testate giornalistiche o da singole firme: da mostri sacri come Il New Yorker o il Wall Street Journal, passando per esponenti della stampa italiana come Il Post o La Repubblica, fino a singoli giornalisti autorevoli. Senza dimenticare i social (sì, pure loro): Facebook ha avviato una serie di newsletter tematiche firmate da esperti made in Usa, Twitter offre strumenti in più a chi vuole scrivere contenuti. C’è fame di approfondimento? Sì, ma non solo.
Il patto fra lettore e giornalista, come una volta
“Il giornale di carta era contraddistinto da una linea stabilita dal direttore ed esprimeva la sua visione del mondo” commenta Francesco Oggiano, giornalista freelance nonché autore della newsletter settimanale Digital Journalism. “Nel passaggio ai siti web questa visione del mondo si è frammentata e l’implicito patto di fiducia stabilito con i lettori si è perso. Negli ultimi tempi, complice anche la pandemia, i lettori sono tornati a cercare qualcuno di cui fidarsi, lo stanno cercando in nuovi prodotti, in brand o in persone che diano la loro visione del mondo pulita e chiara. È in questa ricerca di un patto di fiducia che mi spiego il ritorno alla newsletter, un legame che era proprio del vecchio giornalismo e che oggi il lettore vuole recuperare”. Concorda con questa visione anche Barbara d’Amico, specializzata in data journalism, ma non solo, autrice della neonata newsletter Digital Journalism by Barbara D’Amico. “Semplicità di gestione tecnlogica e riduzione del tempo di gestione della community sono sicuramente fra i suoi plus, insieme al fascino dell’unidirezionalità tipico del giornalismo prima maniera, da cui ne consegue la sensazione di personalizzazione, fattore chiave del suo successo. Un altro aspetto interessante è che consente di targettizzare e ordinare i contenuti secondo un taglio preciso: per una testata significa poter smontare il giornale a seconda delle nicchie che vuole raggiungere. Infine, rispetto al linguaggio consente un tono più diretto. Per portare un esempio pratico, cito la newsletter del Messaggero Veneto, La Bussola, che è l’analisi del direttore sui fatti del giorno. È pensata per un pubblico estremamente locale, ma ha 20.000 iscritti”.
Molto più di una semplice mail
Fatta questa premessa è più facile capire perché Francesco Oggiano definisca la newsletter “servizio, social, personal branding”. Spiega: “A mio avviso la mail a oggi è il social media perfetto: privo di rumore, da un lato permette di avere interazioni di valore e costruttive, dall’altro di continuare e rafforzare i rapporti già stabiliti. Tutte attività che dovrebbero essere svolte dai social, ma così non è. Facebook ha deciso di investire nelle newsletter perché non ha contenuti di valore, ha bisogno di valorizzare meglio le sue interazioni”. Anche Jacopo Perfetti, consulente di imprenditoria e modelli di business che cura la newsletter settimanale Corrente, vede tante potenzialità: “sono un ottimo strumento per veicolare contenuti di qualità perché coniugano i vantaggi del blog (più spazio per gli approfondimenti, possibilità di inserire link e immagini, una fruizione del contenuto più lenta e riflessiva, e nessuna “social pressure” data dai like e dalle visualizzazioni) ai vantaggi dei social media (possibilità di condividere i contenuti e di portarli al lettore). Inoltre non tutti usano i social media, ma tutti hanno una mail, potenzialmente il mercato delle newsletter è molto più ampio di quello dei social”. Quindi newsletter come servizio, come social, e poi anche come strumento di personal branding. “Sta diventando uno strumento formidabile per migliorare il posizionamento come singola firma ed emegere anche rispetto alla singola testata” osserva Barabara D’Amico. “Le newsletter di successo sono quelle che si identificano con un autore ben preciso. Per esempio Valerio Bassan – autore dell’interessante newsletter Ellissi – ha intervistato Federica Salto, una giovane giornalista di moda che quasi per scherzo ha lanciato La moda il sabato mattina e adesso ha 16.000 iscritti a pagamento. Il singolo giornalista ha molta libertà di azione, a differenza di uno che deve rispettare la linea editoriale della testata cui appartiene, perché può citare liberamente contenuti anche non proprietari, offrendo più spunti e un’eterogeneità nell’informazione che a oggi risulta vincente. Non a caso il Financial Times si è aperto la sua newsletter sulla piattaforma Substack [NdR: per chi non conoscesse la piattaforma è uscito un interessante articolo a riguardo su HuffPost Italia] e la fa scrivere da firme indipendenti: i contenuti sono scritti da singoli con una forte community di followers”.
Ma quindi i blog?
Verrebbe da pensare che o hai una newsletter o sei nessuno… Ma quindi i blog sono dinosauri? Secondo Francesco “il blog si basa su una logica pull. È controproducente, meglio un sistema push, che consenta di andare dove ci sono già i lettori, via social o via mail. Nel caso del blog le persone devono arrivarci e poi chissà quando tornano. Al momento non è un investimento che consiglierei”. Per ragioni diverse anche Barbara concorda: “Il post sul blog è il precursore del post sui social nella mia visione, considerata la possibilità di commentare da parte dei lettori. Oggi esistono ancora ma sono più delle landing page, cito l’esempio di Stratechery di Ben Thompson, di fatto un blog cui iscriversi a pagamento per ricevere gli aggiornamenti. Il blog era la voce del singolo che emergeva, assomigliando ai social network di oggi. Faccio un paragone con il mondo social. Il vecchio Myspace è collassato perché consentiva di costruire profili differenziati a seconda degli utenti: se eri un vip potevi permetterti layout e funzionalità diverse. Facebook, invece, ha reso il social democratico, che tu sia Trump o l’impiegato delle poste il profilo ha gli stessi colori, gli stessi gradi di separazione. Similarmente, oggi il blog ha perso perché permetteva troppa personalizzazione a discapito del contenuto in sè”. Più possibilista Jacopo, che sostiene che “blog, newsletter, social media sono tutti mezzi. Quello che ha senso è continuare a creare contenuti di qualità. Certo, i blog possono apparire anacronistici oggi, ma li ritengo ancora un ottimo mezzo per archiviare e condividere contenuti”.
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La newsletter sembra dunque stare soddisfacendo più esigenze dei lettori attuali, non solo quella di approfondimento, ma anche quelle di rapporto esclusivo, contenuto di qualità, specializzazione, affidabilità. La notizia che Salman Rushdie abbia pubblicato il suo ultimo libro sulla piattaforma Substuck (una sua intervista recente è uscita sul The Guardian) è solo l’ultima di una serie di professionisti – non solo giornalisti, ma anche scrittori o fumettisti per esempio – che stanno trovando nella formula newsletter un nuovo modo di comunicare con i lettori, in modo libero, facile, immediato, portando alla ribalta anche altri modelli letterari d’antan (feuilleton release 2.0?).
Si fa presto a dire newsletter, ma in realtà ci sono segnali che promettono un’evoluzione più articolata di questo strumento, nella direzione di una comunicazione indie e accurata. Godiamoci il momento, ché la dura legge del profitto arriverà presto anche qui.
Daniela Giambrone
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