Per chi non è mai stato in Africa come me, immergersi nella lettura di questo libro di Giovanna Giordano, vincitrice di due premi Racalmare Sciascia e candidata al Nobel per la letteratura nel 2020, è proprio come lanciarsi in un volo magico. Lasciarsi trasportare dalle sue parole, sapientemente incatenate a dipingere la terra abissina in toni acquerello, ha veramente qualcosa di magico. Ma la magia non sta solo nell’atmosfera fiabesca in cui è immersa la storia di Giulio Giamò o nei personaggi bizzarri che incontra. La magia è anche nella profondità in cui Giordano è capace di addentrarsi con la leggerezza del suo linguaggio e del suo sguardo, abbracciando nel racconto un’epoca storica che ha visto una guerra impari ferire una terra capace di meravigliare e trasformare per sempre il cuore di una persona, come succede all’aviatore Giulio Giamò, nato a Stromboli, giovane e pazzo di vita, che sorvola l’Abissinia sul suo Caproni 133 dal nome evocativo: Vita Nuova.
“Lì non c’era niente ma era come se ci fosse la spremuta del mondo. Succede spesso, in Africa: sulla sabbia si vede qualche acacia, una capanna e un serpentello e tutto sembra sublime e il perché nessuno lo sa spiegare”.
Un volo magico è stato pubblicato per la prima volta nel 1998 da Marsilio e riedito nel giugno 2023 da Mondadori. Si sviluppa in un arco temporale che va dal 24 giugno ’35, quando Giulio arriva in Eritrea mentre l’Italia di Mussolini sta preparando l’invasione dell’Etiopia, al 1941, quando le truppe britanniche liberano l’Etiopia e il Negus Hailé Selassié fa ritorno ad Addis Abeba. Nella storia di Giulio Giamò il tempo è scandito dall’incontro con i personaggi che sono entrati nella Storia e dal susseguirsi dei noti eventi che Giulio vive in prima persona: l’inizio dell’invasione, la fuga del Gran Negus, la conquista di Addis Abeba e, poi, l’arrivo di Graziani e del Duca d’Aosta, l’inizio della ribellione, i campi di concentramento, l’entrata in guerra e, infine, l’invasione dei britannici e il ritorno del Negus.
Giulio è in Africa per una missione segreta: consegnare messaggi militari. Tra questi, consegnare la dichiarazione di guerra al Gran Negus d’Etiopia, Hailé Selaissé. La missione poi si trasforma e durante la guerra consegna posta e viveri ai soldati italiani, poi porta lettere clandestine ai ribelli abissini prigionieri nei campi di concentramento. Giulio vola libero: mentre gli altri aviatori seminano bombe, lui semina parole, stringe amicizia con il “nemico”, aiuta il Negus a fuggire.
“Volavo, volavo libero e guardavo avanti, senza ricordi perché quando si vive non si ha tempo per ricordare, e allora io vivevo. Sì, vivevo. Ero giovane.”
Nel suo volo incontra personaggi bizzarri a cui si lega, non importa se siano bianchi o neri, militari o matti di corte o pappagalli. Lui supera i confini e stringe amicizia: con il capitano Beba Mondio, che lo accoglie in Eritrea, con Pappamondo – il pappagallo parlante – e Meleku, il matto che dispensa saggezza; con Amalik e Tsahai, uniti dalle catene e dall’amore; con il Gran Negus, che gli dona un frammento di meteorite che si illumina quando è coraggioso. E infine si innamora. Si innamora dell’abissina Tigist – “Tigist era la vita, me la dava e me la toglieva”– ma, soprattutto, dell’Africa. La sua prima notte in Africa, quando arriva in Eritrea volando sul mare, è la più bella che abbia mai vissuto, “una di quelle notti in cui la felicità è quasi insopportabile”. È pazzo di vita, di aria, di vento e di sole: un vero e proprio innamoramento. È l’inizio della sua “vita nuova”, di dantesca memoria, un amore che lo cambierà per sempre, che lo eleverà spiritualmente, come l’amore celebrato dallo stilnovismo.
Quello che sembra volerci dire Giovanna Giordano, appassionata viaggiatrice, è che l’Africa è un luogo talmente lontano da ciò a cui siamo abituati, che ti sconvolge dentro con la sua meraviglia. “Non ti meravigliare mai di nulla perché in Africa tutto è meraviglia”, dice a Giulio il capitano Mondio – “il duca mio”, lo chiama Giulio, accostandolo a quel Virgilio che accompagna Dante nel suo cammino di purificazione. L’Africa, terra di grandi silenzi, di colori intensi, di animali brulicanti e selvaggi, gli conquista tutti i sensi con profumi di eucalipto e canti di raganelle, notti verdi, cieli viola, correnti calde, alghe con la schiuma, fiori verdeazzurri, fenicotteri rosa. E poi stranezze: corpi nudi e neri, animali parlanti, tribù dove tutto è sottosopra.
“In quale mondo ero precipitato? Scricchiolii, corpi nudi e neri, un pappagallo parlante e un capitano pazzo.”
Giulio vola su tutto questo, guarda dall’alto e poi atterra e ci entra dentro in quella meraviglia, la conosce, la vive, ne diventa parte. E lui si trasforma. È un’ubriacatura dei sensi, uno stupore continuo, un cammino inevitabile e in linea retta che lo conduce a smettere di pensare che tutto ciò che è bello e giusto sia nella nostra giovane Europa. L’Africa lo trasforma finché non vede più stranezze, finché non ci sono più regole, finché non si è spogliato di tutto, fuori e dentro, e gli rimane solo l’essenziale. Il mondo di Giulio è messo sottosopra, come una clessidra, tutto quello che lui conosce come giusto potrebbe da un’altra parte essere sbagliato, e viceversa, e il suo planisfero, eurocentrico, si modifica: il centro diventa l’Africa, ma forse potrebbe essere anche un altro luogo. O forse un centro non c’è più.
“Il mondo è una clessidra, amato re. E c’è qualcuno che la capovolge all’improvviso.”
L’Africa dipinta da Giordano è una terra in cui c’è una natura talmente presente e dominante che l’uomo viene privato della sua importanza e appare per quello che realmente è: una piccola parte, una delle tante bestie selvagge. È una natura che ti sopraffà e ti sconvolge, che ti dice che solo lei può decidere della tua vita, che tu uomo non sei più delle gazzelle. Eppure proprio qui, in questa terra di meraviglie, si consuma una guerra crudele e impari che spezza il trionfo della natura. “Quando viene la tua ora te ne vai, ma se la morte viene da un fucile la tua ora arriva prima e la vita se ne vola via col vento” dice Meleku, che impazzisce di violenza, il suo petto un cimitero, mentre il capitano Uragano pone la sua bandiera “Usque ad finem” sulla torre più alta di Addis Abeba.
Africa e guerra è un contrasto, un ossimoro ben evidenziato da Giordano. Subito, dall’arrivo di Giulio in Africa, lo sottolinea: nella meraviglia di Giulio per quella notte verde e magica, il giovane vede i sambuchi dancali galleggiare sul mare e le navi italiane cariche di bombe. Il contrasto tra meraviglia e orrore sembra incarnarsi anche nei due capitani che Giulio incontra, Beba Mondio e Uragano. Il primo che sembra capitato in guerra per sbaglio, che si meraviglia delle bellezze africane, che vede l’orrore di quella guerra e danza con gli abissini; il secondo che gioisce della distruzione, che trova la guerra meravigliosa perché “supera in audacia e distruzione l’immaginazione degli uomini.”
Il contrasto, infine, si fa linguaggio nel diverso modo in cui Giordano racconta l’Africa e racconta la guerra, svelando le due anime dell’autrice: quella di viaggiatrice e quella di giornalista. L’atmosfera fiabesca e magica è indubbiamente la nota dominante di tutto il romanzo. Ci sono animali parlanti e racconti fuori dalle righe che ricordano le fiabe africane, ma risuona subito anche il Piccolo Principe, forse perché il protagonista è un aviatore o perché quello che sarà suo grande amico, il Gran Negus, ha la faccia da volpe e poi per via di quei dialoghi rarefatti che diventano un continuo filosofeggiare sulla vita. Il romanzo è costellato di personaggi bizzarri e racconti magici che ricordano la letteratura sudamericana, a partire da quel capitano Beba Mondio che per assonanza fa forse pensare a un certo Buendia. L’atmosfera fiabesca è anche in quelle tinte acquerello con cui sembra tracciato il romanzo. Tutto è leggero e magico: è leggero Giulio Giamò che vola sul suo Caproni, è magica l’Africa con le sue notti verdi, sono leggere le descrizioni lucide, essenziali e nette, come la linea dell’orizzonte, come le linee di campi e città che si vedono dall’alto. Giulio sorvola l’Abissinia consegnando lettere ed è accompagnato dalle storie leggere e magiche di Tsahai e Meleku, dalle storie d’amore dei destinatari della posta: amore per una donna, per una madre o per il torrone della propria terra. Tutto è leggero e magico fino a quel fatidico 3 ottobre 1935, quando Giulio vede “file di carri armati graffiare la terra rossa, falangi di soldati con le baionette luccicanti al sole e armi, armi, armi!” Quando Giordano racconta la guerra, la fiaba viene meno, la magia svanisce nella crudezza e nel realismo con cui l’autrice mostra l’orrore, nei corpi degli amici di Giulio dilaniati dalle bombe italiane o dal fuoco nemico, o nell’amara visione di ciò che può fare la violenza umana: i campi di concentramento, la deportazione, quello che rimane dopo una battaglia: teschi lucidi e rovine fumanti, bestie morte col ventre gonfio che galleggiano sul Nilo Azzurro – lo stesso Nilo Azzuro che sorvolava con stupore e meraviglia – disertori agonizzanti appesi alle forche e poi i bambini, rimasti soli.
“Le carovane della Croce Rossa cercavano nella savana i bambini soli, i bambini mangiavano la terra, le madri cercavano i bambini, i padri cercavano un senso, i vecchi morivano folli.”
Senza mezzi termini l’autrice mostra l’ingiustizia di una guerra impari, stilando, all’interno di quel quadro fiabesco e magico, una raggelante cronaca delle battaglie sul territorio etiope: il bombardamento di Neghelli, la battaglia del Tambien, la battaglia sul lago Ascianghì, il bombardamento di Gig Giga. Giordano sgrana un rosario di numeri: ore di bombardamenti, tonnellate di piombo sganciate, numero di morti, sempre tanti per gli etiopi, troppi in confronto a quelli italiani. Decine di tonnellate di esplosivo che vengono sganciati dall’aviazione italiana su nemici scalzi a dorso di cammello, armati di pugnali e scimitarre, che fuggono nelle steppe, come formiche nere, insieme alle gazzelle. Ma nonostante tutto, non viene mai meno un certo linguaggio poetico, una fluidità delle parole che lasciano scivolare lo sguardo sulle cose come Vita Nuova scivola sulla terra abissina.
“Queste non sono vittorie. Direbbe forse un’aquila di avere sconfitto un colibrì?”
Elisa Bedoni
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