In questi ultimi tempi (nel 1999, ndr), quando i giornali non hanno nulla di cui parlare, o per lo meno non hanno il materiale necessario per pubblicare degli scoop sensazionali, che facciano beat, tutti o quasi i giornalisti scrivono dei non proprio buoni rapporti che intercorrono fra la magistratura e la politica. Anzi ancora più spesso si scrive di come la prima stia cercando di assumere sempre di più il controllo della seconda.

Eppure la magistratura non ha una sola mente e un solo corpo, ma è composta da svariate singole unità (magistrati, P.M., ecc.). Di questo problema si occupano E.B. Liberati, A. Ceretti ed A. Giasanti nel libro Governo dei giudici. La magistratura tra diritto e politica.

Libro, tra l’altro, di carattere antologico, in quanto contenente brani di svariati autori, quali il garante della privacy Stefano Rodotà, all’epoca docente di Diritto Civile all’Università La Sapienza di Roma, anche stranieri, come Herbert Prantl, direttore di un giornale tedesco. In più, vi sono la prefazione, ad opera di Ceretti e di Giasanti, e la postfazione scritta da Liberati. Questa varietà di autori scelti fra magistrati, studiosi, avvocati, giornalisti e autori vari, dovrebbe far sì che al lettore si presenti la questione sotto più di un punto di vista, in maniera tale che, dove il magistrato è più competente, ma, per cameratismo o per corporativismo (termine assai frequente nel libro), tende a prendere le difese della sua categoria, ecco il giornalista, meno informato dei fatti veri, ma quasi di sicuro con meno peli sulla lingua, e così via. E in effetti è proprio così. Il problema dei magistrati e della politica viene visto praticamente da tutti i punti di vista, tranne forse quello del politico stesso, che però comunque darebbe uno giudizio di parte.

Ma questo probabilmente è l’unico aspetto positivo di un libro che, almeno per quanto mi riguarda, è risultato assai deludente. Prima di tutto perché il titolo ed i commenti posti in quarta copertina sono illusori: solo nella prefazione e nella postfazione si affronta il problema come riferisce il titolo. Gli altri brani, invece, trattano più dei giudici in generale, dei loro problemi, del perché tendono a sostituirsi al potere legislativo, facendo sì molti riferimenti al fenomeno, ma eludendolo per lo più.

Inoltre il linguaggio usato dai vari autori, fatta la pace di pochi, è estremamente intricato e settoriale, col risultato di rendere ancora più difficile la lettura di questo testo, già di per sé abbastanza impegnativo. Non che un linguaggio specifico non sia adatto ad un testo giuridico, per carità, ma lo rende adatto solo a una ristretta cerchia di lettori. Volendo far presente anche che, come praticamente tutti i saggi, richiede un interesse specifico da parte del lettore (certo sono rari coloro che, non avendo niente da fare, per rilassarsi iniziano a leggere un libro di carattere giuridico), questa cerchia di possibili lettori inizia a restringersi ancora di più.

Difficile dare un giudizio globale dell’opera nel suo complesso, poiché, come ho già scritto precedentemente, si tratta di un’opera a carattere antologico. Si può certo dire che alcuni autori riescono a catturare il lettore maggiormente rispetto ad altri, che riescono ad adottare un linguaggio meno settoriale e più accessibile a tutti. Che gli autori che partono dalle proprie esperienze per arrivare a delle conclusioni in astratto sono molto più coinvolgenti degli altri. Ma anche altri che, così facendo, banalizzano il tutto, facendo divenire l’opera, oltre che di difficile comprensione e settoriale, anche noiosa. Certo rimane che la divisione dei poteri, la famosa divisione dei tre poteri che Montesquieu aveva designato (legislativo, giudiziario ed esecutivo), rimane necessaria, e che comunque nel libro sono racchiuse delle grandi verità. Se il favore popolare va contro o con un Antonio Di Pietro che vuole dedicarsi alla politica, è un grosso problema. Una volta sentii un uomo del popolo, un salumiere, non credo che ci sia da vergognarsi di questo, che nel suo bel negozietto teneva una specie di orazione a profusione del potere giudiziario e di quello legislativo, anche se senza rendersene conto o quasi, dicendo che avrebbe votato a favore del povero, denigrato e ingiustamente condannato dall’opinione pubblica Di Pietro.

Non posso dire se il povero idealista, almeno tale mi sembrò l’onesto lavoratore, avesse ragione o torto. Fatto sta che, indipendentemente da come è stato scritto, il libro di Ceretti, Giasanti e Liberati è importante perché, facendo cadere svariati tabù, pur con una visione di parte, tenta di rendere consapevole il lettore di quello che gli sta accadendo, quello che sta accadendo al sistema in cui vive, quello che potrebbe accadere in un futuro nemmeno troppo remoto.

Stefano Buonocore

Il libro nel 1999

AA VV
Governo dei giudici
. La magistratura tra diritto e politica.
Feltrinelli 1996
pp. 234, L. 30.000

Il libro attualmente è fuori catalogo