«Chissà se le bugie prendono fuoco. Sarebbe venuto un bel falò, una bella brace, con tutto quello che non ci dicevamo». Si possono considerare bugie le cose non dette? O sono soltanto pensieri destinati a svanire? In questa storia vengono abbandonate nel corso degli anni e poi a un tratto prendono fuoco. Questa è la storia di Lapo, della sua famiglia e di tutte le cose mai dette. Siamo in una casa al lago, c’è un’atmosfera antica, e non perché appartenente a un’epoca del passato, si tratta di un romanzo ambientato nei nostri giorni, ma perché le descrizioni e i sentimenti rimandano a un tempo che sa di un passato che non è più e che però continuerà a resistere nelle vite dei protagonisti. È anche vero che questa sensazione nasce soprattutto dall’intensa presenza di un sentimento di nostalgia che ci trasporta in un passato remoto che sembra davvero irraggiungibile.

Piperita (Fandango, 2021), è il romanzo d’esordio di Francesco Mila, classe 1996, che sorprende positivamente per lo stile maturo e le caratterizzazioni dei personaggi. Mila è nato a Roma, città che fa da sfondo al romanzo, ma che non diventa mai protagonista. È la Roma degli anni del liceo, del primo amore, dei primi amici, quella di Piazza Sempione e le serate al Piper, ma anche quella dell’appartamento solitario che pare mettere insieme quattro estranei che tornano alla vita quotidiana dopo le vacanze.

In questa storia ci sono Lapo, Emma e Piperita. Che forse sono un po’ la stessa cosa, sembrano non poter esistere l’uno senza l’altra e viceversa. È la storia di una famiglia e di tutti i pezzi che la compongono e poi si riducono a pagine di un’agenda dei Peanuts di una tredicenne. Occorre forse citare Tolstoj per ricordarci che è proprio vero, «Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece disgraziata a modo suo», e questo libro è la storia di una famiglia non felice dove ognuno cerca di salvarsi da solo, per poi capire di non poter rimettere insieme i tasselli di un’esistenza che ormai non è più e che forse non è mai stata.

A raccontare tutto è Lapo, con la tenerezza di chi soffre in silenzio e subisce tutte le cose non dette, osservandole prima con gli occhi di bambino, poi di adolescente. Per Lapo forse un tempo i suoi genitori si erano amati davvero ed erano stati felici, ma seppure fosse andata così, lui non lo ricorda. La mamma, Lucrezia, è subito presentata come la donna innamorata degli attori hollywoodiani, con le sue medicine e la compagnia dei suoi libri. Succede che un bel giorno decide di andare via, anche se il vero problema è che non va mai via davvero. Gioacchino, il papà medico che vive la famiglia soltanto a cena, le sue gite al lago e le sue radici calabresi. È proprio in Calabria che ritorna ogni estate e ci torna con la famiglia o, verso la fine, con ciò che ne rimane.

E ci sono loro, i due fratelli. È il loro rapporto a rendere questa storia un romanzo. Sono Lapo ed Emma e i loro 4 anni di differenza. È la fervida immaginazione di Emma a creare, durante i litigi dei grandi, una simpatica Piperita che si ricorda addirittura la sua esistenza nella pancia della mamma. Piperita è frutto dell’immaginazione di Emma, ma nei momenti più tristi pare sia l’unica compagnia che prende vita insieme ai due fratellini.  Con loro tutto ha il sapore di un vecchio film, di estati del passato, di canzoni che non ci sono più. Mila ha saputo raccontare drammi familiari senza  mai soffocare il lettore, perché per quanto intriso di malinconia, ha il potere di saper accogliere in quel mondo scomodo e farlo sentire a casa, senza disagio. Ciò avviene soprattutto grazie al personaggio di Emma e ai suoi labirinti interiori che sanno di innocente fantasia, misticismo e storie antiche. Piperita sembra essere sbucata da una delle animazioni di Studio Ghibli, le sue visioni del lago la rendono una creatura magica che ricorda Ponyo sulla scogliera di Miyazaki e, in effetti, anche le sue storie fantastiche rimandano a quel mondo. Un mondo fatto di avvenimenti surreali che hanno per protagonista questa Piperita un po’ birichina, come perfetta via di fuga dalla realtà quando, chiusi nella loro camera da letto nella casa al lago, ciascuno nel proprio letto, riescono ad allontanarsi dalle litigate dei genitori che provengono dalla stanza accanto.

«Se si sapesse, mentre si cresce, cosa comporta la solitudine – se ti avvisassero che è morte e disabilità affettiva – tutti ne avrebbero un po’ meno voglia e un po’ più paura. Per risparmiarmi un nuovo abbandono ero rimasto solo, e avevo creduto di conoscere il dolore in virtù di quel tanto che avevo provato».

È questa “disabilità affettiva” che caratterizza Lapo adolescente, un io narrante in grado di far sentire perfettamente il peso di tutti i drammi portati dentro: la crescita e il conseguente allontanamento da quelle storie inventate che, senza accorgersene prima, erano la cura al dolore, tutto ciò che univa i due fratelli e li isolava nella loro piccola stanza di mondo, dove era ancora possibile stare bene. Ci si affeziona più di ogni altra cosa alla tenerezza di questa immagine, sintesi del loro rapporto. Emma e Lapo, l’una a parlare di storie fantastiche e l’altro ad ascoltare, è per chiunque il richiamo all’infanzia. Un richiamo che si avverte fin dalla prima pagina, avviene che più Piperita scompare, più si allontana l’infanzia e si raffredda il rapporto dei due fratelli.

Tutto ha potere sugli esseri umani. Soprattutto le assenze, le cose non dette, gli abbracci non dati. E il senso di solitudine spinge a credere di essere i soli a soffrire, questa sofferenza non fa più vedere a Lapo ciò che non c’è più in Emma: la totale scomparsa di Piperita.

«So che mi vuoi bene. Ma l’affetto qualche volta bisogna saperlo dimostrare. I demoni, ti assicuro, li abbiamo tutti. Ma se i tuoi li tieni sempre chiusi, per noi respirare è impossibile. Fagli cambiare aria. Mandali a fare la spesa, almeno quando sei con me».

Quando si finisce di leggere questo libro si è colti da una strana sensazione che rimanda a un perfetto ossimoro. Perché è triste e commovente, ma fa sorridere, diventa impossibile non affezionarsi alla Piperita che abbiamo conosciuto. Ed è forse la tenerezza mista alla nostalgia a lasciarci così stupefatti.

«Emma mi avrebbe spiegato perché una Piperita non può essere triste: “O sei triste o sei Piperita. Non puoi essere entrambe». Invece, questo libro ci è riuscito. Piperita può essere triste e Piperita insieme.

Giusy Esposito

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