Parlaci di te.

Sono Daniela Rosas, vivo a Torino da ormai vent’anni, ma sono cresciuta in provincia, vicino alla città ma non troppo. Sono formatrice, Life Designer e da un annetto anche giornalista (pubblicista).

Mi occupo con il mio lavoro di aiutare le persone a progettare un buon futuro, a fare buone scelte formative e professionali attraverso il Life Design. E quando scrivo, scrivo di questo.

Da quanto tempo ti occupi di life design e in che consiste il tuo lavoro.

Sono una libera professionista da tre anni. Con una collega ho ideato il progetto IF Life Design, attraverso il quale facciamo attività di consulenza e formazione rivolte a chi è impegnato a pensare al proprio futuro, formativo e professionale. Il Life Design aiuta proprio in questo: fornisce strumenti utili e concreti per fare buone scelte, efficaci, in linea con ciò che è importante per la persona nella sua vita. Aiuta ad ampliare scenari, immaginare alternative possibili e a fare i passi necessari per andare nella direzione desiderata.

Quanto è stata importante la tua formazione per quello che fai oggi?

La formazione per me è stata decisiva. Mi sono laureata e perfezionata lavorando e, nel frattempo, diventavo anche mamma. Facendo consulenza di carriera spesso racconto di quando, durante il perfezionamento in Life Design e Career Counselling all’Università di Padova, ho fatto il lavoro che ha rappresentato per me un punto di svolta, professionale e personale. Un momento apicale, che mi piace chiamare la mia Epifania!

Durante la specialistica, prima ancora, mi sono appassionata al linguaggio, ai suoi usi, a modelli di comunicazione volti ad approfondire le pratiche del linguaggio quotidiano e dell’ascolto metodologicamente attrezzato. Nella consulenza di carriera, le parole e la narrazione hanno un potere straordinario, basti pensare ai molteplici modi in cui possiamo parlare di noi, delle nostre esperienze, delle qualità e capacità che possediamo. A come pensiamo e raccontiamo il mondo che ci circonda.

Così, grazie allo studio, ho trovato il filo rosso che univa i miei valori e miei interessi e che oggi sono rappresentati in pieno dal lavoro che faccio.

I libri che ruolo hanno nella tua vita?

I libri sono per me un’opportunità straordinaria, un accesso privilegiato a una infinità di mondi. Ma sono anche divertimento, di vero e proprio godimento del tempo che dedico a me stessa. A volte sono un premio. Sono ricerca e incontro con immaginari cui poi finisco per voler bene.

In che modo sono stati importanti per il lavoro che fai?
C’è un libro in particolare che ha avuto un ruolo decisivo in quello che sei oggi?
Ce ne vuoi parlare brevemente?

Piccole Donne, Louisa May Alcott.

Nella teoria della costruzione di carriera si parla di modelli di ruolo. Funzionano come risorse che utilizziamo per sviluppare e modellare la nostra identità e si vanno a cercare nelle prime esperienze, durante l’infanzia. Per me Josephine March è stata proprio questo, di sicuro è tra i miei modelli di ruolo. L’ho adorata, letta e riletta. Mi sono arrabbiata con lei per i rischi che correva. Per il coraggio che dimostrava mentre a me, le sue decisioni, facevano tremare. L’ammiravo profondamente. Per molti anni, senza troppa consapevolezza, credo che Jo mi abbia ispirata e ancora oggi penso spesso a lei. Confesso che pensare all’incontro tra Jo e le mie bimbe mi commuove.

Un incontro decisivo più recente invece, è quello con il libro di Arjun Appadurai Il futuro come fatto culturale. Un testo complesso in alcune sue parti, almeno per me. Al centro ci sono questioni forti, come la povertà, l’equità e l’avvenire. La cultura, suggerisce l’autore, altro non è che una capacità, e come tale va coltivata, potenziata e rafforzata. Aspirare a un buon futuro per sé, caratteristica della capacità culturale, non è distribuita uniformemente. Per me questo libro rappresenta una via, fornisce indicazioni chiare, è diventato il testo dal quale trarre, al contempo, ispirazione e idee concrete da mettere in campo nel mio lavoro.

Intervista a cura di Angela Vecchione