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Anno 0 | Numero 3 | Novembre 1996

LE PONT MIRABEAU

Sous le pont Mirabeau coule la Seine

Et nos amours

Faut-il qu’il m’en souvienne

La joie venait toujours après la peine

Vienne la nuit sonne l’heure

Les jours s’en vont je demeure

Les mains dans les mains

restons face à face

Tandis que sous

Le pont de nos bras passe

Des éternels regards l’onde si lasse

Vienne la nuit sonne l’heure

Les jours s’en vont je demeure

L’amour s’en va comme cette

eau courante

L’amour s’en va

Comme la vie est lente

Et comme l’Espérance est violente

Vienne la nuit sonne l’heure

Les jours s’en vont je demeure

Passent les jours et passent les

semaines

Ni temps passé

Ni les amours reviennent

Sous le pont Mirabeau coule la Seine

Vienne la nuit sonne l’heure

Les jours s’en vont je demeure

 

LE PONT MIRABEAU

Sotto Pont Mirabeau scorre la Senna

E i nostri amori

Bisogna che ricordi

La gioia sempre viene dopo i dolori

Venga la notte suoni l’ora

I giorni vanno io resto ancora

Le mani nelle mani restiamo

viso a viso

Mentre che sotto

Il ponte delle nostre braccia passa

Degli sguardi di sempre l’onda stanca

Venga la notte suoni l’ora

I giorni vanno io resto ancora

L’amore va come questa corrente

L’amore se ne va

Come la vita è lenta

E come la Speranza è violenta

Venga la notte suoni l’ora

I giorni vanno io resto ancora

Passano i giorni passano le settimane

Né tempo andato

Né gli amori ritornano

Sotto Pont Mirabeau scorre la Senna

Venga la notte suoni l’ora

I giorni vanno io resto ancora

trad. Mario Pasi

 

Le pont Mirabeau è una poesia leggera. Descrive la fugacità dell’amore con distacco e abbandono senza nessun coinvolgimento serio e intenzionale. Si respira un tono di apatica indifferenza proprio di chi è abituato a non dare molta importanza agli eventi della vita, perché tutto quello che succede, nella vita, è come l’onda di un fiume che si forma, cresce, si ingrossa per poi svanire nel vortice della corrente, riformarsi e cominciare il ciclo nuovamente dall’inizio. Quindi l’amore non può essere, come si crede, una durevole ed esclusiva passione. È soltanto una meccanica emozione che si riproduce facilmente ad ogni occasione di incontro, ad ogni incrocio di sguardi o di sorrisi. L’amore è quella piena vitalità che dura un attimo di intesa. Poi svanisce, tutto riprende il ritmo di prima e ritorna il tempo dell’uomo solo. È inutile, dunque, rattristarsi se l’amante va via e non torna più perché ha già dato completamente se stesso in quel frammento d’eternità, ha già consumato tutto l’amore e non ha più niente da dare. Apollinaire è certamente un dissacratore della morale comune. La sua visione dell’esperienza amorosa è completamente disincantata. Non c’è spazio, nelle sue poesie, per la fedeltà, le promesse, l’entusiasmo e la devozione. Sono tutte illusioni che pretendono la continuità dei sentimenti là dove l’animo umano è soltanto un insieme frammentario di emozioni scollegate. La tristezza di essere soli, sembra dire Apollinaire, nasce soltanto in quegli uomini poveri di spirito, di modesta condizione che non hanno riposto grandi speranza in se stessi. Perciò non hanno la capacità di superare ·con matura intelligenza gli eventi spiacevoli della propria vita. Ad esempio, in un’altra poesia della raccolta Alcools intitolata Automne, Apollinaire si diverte a ironizzare la sofferenza di un contadino che non va al di là di una semplice considerazione sulla natura per consolare la fine della sua storia amorosa. Apollinaire è l’uomo moderno per antonomasia. Quello che vive per istanti, secondi, minuti senza lasciare che niente di quello che accade possa sparire senza essere stato da lui intimamente vissuto. Per lui il poeta deve raccontare le emozioni vissute nella strada con parole comprensibili, parole che scivolino sul foglio come un gettito d’acqua e lascino l’impressione, anzi l’immagine, al lettore di quello che si è voluto dire.

Anna Maria Maccariello

Biografia di Apollinaire

(Roma 1880 – Parigi 1918) poeta francese. Figlio naturale di una nobildonna polacca e di un italiano ex ufficiale borbonico, visse i suoi primi anni fra Roma, Monaco, Nizza, Cannes, Lione. Stabilitosi a Parigi nel 1902, partecipò alle più vivaci battaglie artistiche del tempo. Fondò riviste e scrisse cronache d’arte. Fu il primo a sostenere i fauves, presentando nel 1908 opere di Matisse, Derain ecc.; appoggiò la «rivoluzione» cubista con uno scritto rimasto celebre, I pittori cubisti (Les peintres cubistes, 1913); entrò in contatto con F.T. Marinetti e scrisse il manifesto L’antitradizione futurista (L’antitradition futuriste, 1913) e fu poi sempre pronto a cogliere l’importanza di artisti dalle tendenze anche disparate, da Delaunay a Picabia e a De Chirico. Arruolatosi nel 1914 e successivamente inviato al fronte, nel 1916 fu ferito alla testa. Nel novembre 1918 fu stroncato dalla febbre spagnola.A. è autore di numerose opere in prosa. Ricordiamo L’incantatore imputridito (L’enchanteur pourissant, 1909), i racconti riuniti in L’eresiarca & C. (L’hérésiarque et Cie, 1910), Il poeta assassinato (Le poète assassiné, 1916), il dramma presurrealista Le mammelle di Tiresia (Les mamelles de Tirésias, rappresentato nel 1917), i testi libertini. Ma la sua fama resta essenzialmente affidata a due raccolte poetiche: Alcools (1913) e Calligrammi (Calligrammes, 1918). Alcools raccoglie 50 componimenti, rappresentativi di una produzione che va dal 1898 al 1913. Accanto a poesie ostentatamente moderniste quali Zona o L’emigrante di Lander Road, in cui il discorso poetico tende a frantumarsi, procedendo per accumuli eterocliti di materiali tratti dall’attualità più provocatoria e stilisticamente più bassa, ne stanno altre, risolte in una pura linea di canto, che ripropongono cadenze e temi neoromantici (Le pont Mirabeau) o che si giovano dei modelli più collaudati del post-simbolismo. Calligrammes raccoglie 86 «poesie della pace e della guerra», di cui però 19 soltanto hanno vera e propria struttura di calligramma. Qui è da vedersi probabilmente il momento più avanzato della ricerca formale di A.: l’«ideogramma lirico» sfrutta le possibilità figurative dei segni verbali; il «poème-conversation» – giustapposizione di frammenti di dialogo – tende a riprodurre, colte sul nascere, le molteplici sfaccettature del reale, infrangendo ogni gerarchia fra il prosastico e il poetico; il ritmo accelerato del testo «simultaneo», che trova il suo equivalente nella tecnica compositiva del cubismo, spinge l’immagine in libertà alle soglie del surrealismo. Ma l’originalità e il vero volto della sua poesia vanno soprattutto ricercati in quel parlato continuo, in quella discorsività ininterrotta che, assecondati dal movimento di una sintassi poetica liberata, unificano i differenti versanti della sua sperimentazione.