Sei Daria. Sei D’aria. L’apostrofo ti trasforma in sostanza lieve e impalpabile.

Come d’aria di Ada d’Adamo (Elliot 2023) non è solo il pluripremiato vincitore del Premio Strega 2023. Non è, come spesso accade, un libro sopravvalutato il cui successo si debba alla prematura scomparsa dell’autore. La sua forza intrinseca sta nell’amorevole, aerea durezza con la quale Ada d’Adamo, sin dal titolo, riesce, lei esperta di danza e corporeità, a delineare le coreografie della vita: i salti, spesso ad occhi chiusi e all’indietro, le giravolte, le prese e le cadute, anche quelle estreme dalle quali non ci si può più rialzare. Questa forza risiede innanzitutto nella lingua asciutta, precisa, pura e poetica con la quale l’autrice ci trascina nel cuore di un testamento di amore e dolore.

Non c’è spazio per pietismo, sensazionalismo, vittimismo tra le pagine di Come d’aria. C’è una storia, raccontata con la pacatezza trasparente di chi conosce una sofferenza senza più lacrime, asciutta e vera, quella di chi “smette di lottare contro” e inizia a “lottare per”. Ci sono Ada, danzatrice che diventa suo malgrado, a causa di una mancata diagnosi prenatale, scrittrice e madre coraggio, e Daria, alla quale è indirizzato un memoriale che non leggerà mai, perché affetta sin dalla nascita da una grave forma di oloprosencefalia.

Eppure noi possiamo leggere e comprendere la portata non solo intimistica, ma anche politica e sociale di questo romanzo. Perché il racconto della ricerca faticosa di un equilibrio di vita, rotto dall’insorgere di un tumore metastatico nella madre, non è solo uno sfogo emotivo, ma la denuncia, lucida e calma, di un sistema sociale e culturale che non funziona: della solitudine in cui le donne vivono gravidanza e maternità anche in casi di “normalità”; del senso di abbandono in cui incorre chi ha a che fare con qualsivoglia disabilità (l’autrice la chiama “Grande Fuga” di parenti, amici, finanche medici); di un sistema scolastico che sotto lo slogan dell’inclusione a tutti i costi in realtà cela gravi falle rispetto al reclutamento e alla continuità degli insegnanti di sostegno; di una burocrazia che infierisce ulteriormente sulle vite dei familiari delle persone con disabilità.

Nella scrittura di Ada d’Adamo non ci sono anestesie, non ci sono sconti. L’abisso non è negato, ma attraversato; una sensazione generale di ariosità e leggerezza anima le pagine, partendo tuttavia dall’accettazione dell’ombra, quasi dal suo abbraccio; c’è una luce, infine, che non fa temere la notte.

Il lettore attraversa insieme all’autrice “una terra bagnata” da cui capisce che qualcosa potrà sbocciare, impara a considerare le conseguenze – solitudine, ma anche la moltiplicazione dell’amore – della malattia, danza una coreografia di memorie ed epifanie.

Tra queste le voci pure dei bambini; i loro biglietti per Daria inframmezzano i capitoli del romanzo regalandoci una prospettiva autentica sulla realtà. Daria in fondo è una bambina magica, niente di più, niente di meno. Daria è una bambina bella.

Come la sua mamma, che è stata in grado di regalarci una storia che resisterà al tempo e all’indifferenza e che forse servirà a dare ossigeno alla nostra sfittica cultura dell’abilismo e dell’utilitarismo, spingendoci a sperimentare a nostra volta la tecnica dell’ “incorporazione”, propria della danza, tanto cara ad Ada d’Adamo: un concetto che “ha a che fare con la nozione di corpo come luogo della memoria”, capace di creare e trasmettere conoscenza, capace di “parlare” con il contatto.

Sciogliersi gli uni negli altri, recuperare empatia e solidarietà. Che sia questa la vera cura di cui tutti abbiamo bisogno?

Maria Consiglia Alvino