Parliamo di un libro, Sono Mattia, Scala C, che ha incassato il primo posto come miglior romanzo meno pubblicizzato del 2019. Dove titoli super reclamizzati e ben piazzati in ogni vetrina di libreria non riescono, può invece questo prezioso romanzo a sfondo sociale edito da Robin Edizioni e scritto dal bravissimo Alberto Piazzi.

Mattia Castagna è un brillante figlio di operaio delle acciaierie Falck di Sesto San Giovanni e di una casalinga. Ha un fratello minore che si chiama Uccio. Siamo agli inizi degli anni 70, quando la vita di questa famiglia proletaria viene sconvolta dalla morte del padre, avvenuta sul lavoro. I medici delle acciaierie stabiliscono che invece non c’è nesso tra il decesso e il lavoro, quindi la famiglia, senza più fonte di reddito certa, si ritrova a non avere accesso ad un certo tipo di tutele. La loro stessa casa, un appartamento di edilizia civile nel villaggio Falck costruito per alloggiare gli operai e i dipendenti dell’azienda, rischia di andare perduta.

Se è abbastanza vero che il bene porti il più delle volte al bene, in una spirale positiva, in questo libro si assiste ad una specie di escalation del “male” che sembra avvolgere la vita di Mattia, preda di fatti sui quali lui non ha potere di intervenire. 

Ma diventerà un cattivo vero?

Perdere il capofamiglia porta una serie di conseguenze che traghettano il protagonista a compiere scelte infelici con conseguenze negative inevitabili. Mattia, nonostante vada bene a scuola, decide di mettersi a lavorare per mantenere la sua famiglia. Si tratta di un lavoro serale in un cinema come aiuto macchinista; come minore è tenuto rigorosamente a nero. Durante una delle sere dei mondiali del ’74, la famosa semi finale tra Italia- Germania, viene coinvolto ingiustamente in un reato, che lo porterà ad essere accusato e condannato. Vista la sua età viene trasferito nella comunità dei Gerani dove scopre un ambiente di grande umanità. Proprio tra quelli che in una società “civile” vengono etichettati come ragazzi interrotti dai quali è bene tenersi alla larga, riesce a trovare un nucleo che lo sostiene, un posto dove impara ad amare. I suoi amici, un educatore della comunità, amorevole e severo al contempo, riescono a ricostruire un nucleo di affetti sfumato troppo in fretta per la sua giovane età. Ci si arrabbia per il destino al quale è condannato, ma quella condanna segna la svolta di un periodo tutto sommato felice per Matteo la cui vita procederà poi con molti risvolti inediti: la ricerca di un lavoro serio e una vita regolare, la scoperta dell’amore, i momenti di caduta, di perdita, quelle manciate di attimi nei quali riesce sempre a trovarsi nel luogo sbagliato nel momento sbagliato. Imbrigliato in cose che non dovrebbero riguardare uno come lui: una persona buona. Eppure.

Sa cadere e si sa rialzare senza recare danno agli altri, con situazioni di disagio e povertà. Riesce a farsi una vita sullo sfondo di un’Italia tra anni di piombo e rivendicazioni sociali, campionati del mondo di calcio e classe operaia che si modifica fino a perdere la sua inziale identità. Fabbriche costruite come quartieri satellitari di una Milano industriale, e chiusura delle stesse per via delle prime avvisaglie di globalizzazione che dietro di se porterà i suoi inevitabili effetti sociali.

A Mattia vuoi bene, per lui provi una grande empatia, perché è un bambino che resta tale. La bontà può rimanere nonostante tutto, senza compromettersi, pure quando la società vorrebbe addossare tutte le colpe di una vita in fondo sbagliata a fallimenti volontari, ad azioni malvagie. Sebbene con curriculum vitae da criminale, ad uno come Mattia affideresti la cura delle persone che ami, e i tuoi averi dopo averlo conosciuto.

A mezzo di una scrittura fluida, concentrata sulla storia, senza autocompiacimenti stilistici divoriamo le 544 pagine e i quasi 40 anni di vita di Mattia. In una narrazione spoglia del superfluo e viva. Viva come il Mattia che qualche volta si è affacciato, con le ingiustizie subite, nell’esistenza di ognuno di noi.

Angela Vecchione

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