I versi di Lucio Toma appaiono fortemente intrisi di quotidianità. Questo non assume di per sé un significato particolarmente rilevante: la poesia non ha bisogno di essere “quotidiana” per suscitare né cercare interesse nel lettore. Meglio focalizzarsi su quella combinazione di elementi afferenti al simbolo e al linguaggio: nel caso dell’autore pugliese tali elementi si fanno largo in relazione al tema della salute, condizione che si esplora a partire dalla vicenda personale. Nella malattia l’elemento espressivo principale si manifesta attraverso l’umorismo nero, così come viene evidenziata da Anna Maria Curci nella prefazione al libro: «Strada di Damocle di Lucio Toma è attraversata da una disposizione all’umor nero che non intende lasciare spiragli di vaghezza né superflui e fallaci sfiatatoi. L’osservazione, la constatazione amara e, nonostante la lucida sobrietà, il coinvolgimento affettivo, si allargano a comprendere più ambiti di “varia umanità” […]».

A parte la vita tutto bene, grazie:
non posso lamentarmi di molto altro.
D’accordo non è bello quel che
si dice né giusto quel che si vede
o vero ciò che sembra spesso da che è
mondo si sa chi si accontenta gode
e a caval donato non si guarda in bocca
respira e basta con questi luoghi
comuni perché non ci sono più
le stagioni di una volta ma ipotesi
di ragioni se un calice mezzo vuoto
o pieno è questione di gusti.

Perciò brindisi a parte
non posso lamentarmi di molto altro.

(A parte la vita)

L’umorismo di Lucio Toma non si evince solo dal tema e dal tono. Guardiamo soprattutto l’aspetto formale: nel leggere questa breve lirica si noti la frammentazione delle locuzioni, la disposizione di proverbi e dei luoghi comuni nei versi, la sottile ironia che, confluendo nei due versi conclusivi, sottende un’amara consapevolezza. Sono strumenti di grande coscienza stilistica in cui il poeta estende il tema non solo a se stesso, a ben vedere, ma alla società intera. Il male è una condizione di vita, attacca e intacca il nostro sistema valoriale, influisce con forza sulla rappresentazione che ogni essere umano riesce a dare del mondo. Ma in questi “gusti” che determinano la pienezza del calice, Lucio Toma ci ricorda che molto del nostro essere dipende dall’approccio personale che si sceglie di avere nell’affrontare le difficoltà della vita. La scelta dunque, finché ci è data, è elemento vitale per eccellenza. Può valere la sofferenza tutta questa vita? Il significato dell’esistenza forse è proprio qui. Questa rassegna di proverbi mutuati da una saggezza popolare che si connette alla nostra realtà presente contiene dei limiti: il generale non sa cogliere la specificità della vita, il suo svolgimento si manifesta quale fatto puramente privato. Se la deduzione è conferimento del significato, l’umorismo assume una funzione profondamente speculare e allusiva laddove emerge sul dolore e la sofferenza.

La poesia di Lucio Toma, nell’includere l’altro nel disincanto personale, si caratterizza anche per le sue sfumature civili.

Più che in un manifesto elettorale
ho fiducia in quello funebre
perché è senza inganno
che mi dice chi ha sputato
i suoi ventisette grammi di fiato
e ora non è più niente, solo aria
fritta raccolta dalle narici
o particolato di quell’auto Euro3.

E al dunque del si salvi chi può
(perché pietosamente ci si pensa)
siamo alla solita frutta al dessert
per cui tutto torna come sempre
in una festa a potersi ricordare
e a dire tanto che qualcuno
proverà pure a sorridere perché
in fondo è così che va la vita.

(Da un trigesimo)

La nostra vita ha un’unica certezza: la sua fine, la morte. Da questa semplice constatazione si può dedurre un elemento di verità e la verità per essere credibile deve apparire come elemento fenomenico incontestabile. Un manifesto funebre che annuncia il trapasso di una persona non può sottrarsi a ciò che è vero attraverso i sensi e l’esperienza, ma ciò che resta, la sacralità dell’ultimo fiato, esprime l’effimero così come il “secondo movimento” di questo componimento. La miseria umana è una condizione ineludibile e nei versi di Lucio Toma è come se restare e resistere in questo magma di dicerie e menzogne sia il prezzo da pagare per la propria sopravvivenza, pur riconoscendo che non si può sopravvivere davvero se non nei ricordi e le parole. Quanto detto non evidenzia altro che un gran paradosso che tuttavia resta nel mondo dei vivi e al di fuori della propria intimità. Forse questo lo aveva compreso bene un omonimo di Lucio, Salvatore Toma, quando recitava:

Lasciatelo in pace.
Dio è mio
e non quello che dite,
pieno di croci e di spine.
Dio è libero,
ha soffici ali e vola dappertutto,
come le fronde del vento in arteria,
come la morte sui tetti delle città.

Se quello di Salvatore Toma è un canto che vuole andare al di là dell’esperienza terrena, quello di Lucio Toma è la consapevolezza amara di chi aspetta senza eroismi di sorta. Tutto è compimento e non c’è altro se non questo. Tutto è destino e la poesia è la sua cronaca.

Federico Preziosi