Ex-Libris-0-5-6

Anno 0 | Numero 5 | Gennaio-febbraio 1997

Una voce calma e profonda quella con cui Jarmila Očkayová nel romanzo Verrà la vita e avrà i tuoi occhi (Baldini & Castoldi) urla le parole di Stefania: un addio alla morte e una lunga carezza d’amore. Stefania, colei che evoca, Barbara che acquista vita e significato grazie a questa memoria. E la storia di una profonda amicizia: vissuta, rivoltata, persa, ritrovata e finalmente capita.

Due giovani ragazze si incontrano per caso, e per caso fanno convivere le proprie quotidianità in un unico grazioso appartamento, quello di Barbara.

Come due serpenti che girano su se stessi in modo diametralmente opposto che, sfiorandosi appena, formano un unico grande cordone in perenne avvitamento, così il loro rapporto di amicizia nasceva e cresceva. Stefania alla continua ricerca della lentezza e leggerezza, a casa cercava la solitudine per permettere che le cose accadessero dentro di lei. Di notte sognava di volare, leggera e felice, attraverso spazi liberi e lontani. Ma quel cielo infinito improvvisamente si rivelava affollato di ostacoli e il volo di Stefania diventava un volo a cadere. Tuttavia il desiderio di cercare ancora quella sensazione di leggerezza, di percepire il cielo sopra e l’aria sotto, la spingevano a rialzarsi e a riprendere quel magnifico volo verso gli spazi vuoti che durante le sue giornate giocava a riempire con la fantasia. A questa lentezza Barbara – o Teti, la piccola ninfa marina del mito greco – opponeva un estremo bisogno di movimento e di sguardi intorno a sé; mentre l’una sognava i voli l’altra i nidi. Barbara che per vivere aveva bisogno continuamente di essere percepita, che si avvinghiava agli altri in un eterno abbraccio soffocante per vincere quel lacerante senso di solitudine che la morte della madre le aveva lasciato, che desiderava essere un sassolino nelle scarpe di un bambino, sognava di trovarsi all’interno di un grande nido. Scaldata dalla paglia e dal fango Barbara si sentiva serena e protetta ma la sensazione di fame la spingeva ad affacciarsi: davanti a lei due camerieri le offrivano due vassoi coperti. Solo uno di questi conteneva cibo vero, l’altro a contatto con il palato si trasformava in pietruzze e fanghiglia. Barbara sceglieva sempre quello sbagliato riempendosi così la bocca di poltiglia camuffata da appetitosa pietanza.

Nonostante questi divergenti modi di affrontare la realtà e percepire le cose, l’amicizia tra Barbara e Stefania aveva qualcosa di molto somigliante al principio dei vasi comunicanti. Le loro diversità hanno infatti molto in comune: la curiosità di conoscere, di scoprire, la forte volontà di dipingere i fogli bianchi del loro futuro. Le radici così diverse della loro fantasia s’incontrano compenetrandosi e offrendo l’una all’altra un complementare equilibrio.

“Erano lunghissime le nostre cene. Ci raccontavamo le nostre giornate, discutevamo, facevamo progetti. Ci scambiavano i nostri reciproci vent’anni come due ragazzine si scambiano gli album delle figurine.” Così Stefania e Barbara trascorrevano ore ed ore a raccontarsi, ad immaginare, ad analizzare i propri sogni notando quanto fosse straordinaria la loro capacità di conservare la memoria di sogno in sogno. Stefania, studentessa della facoltà di psicologia, comunicava a Barbara le sue letture su Jung e, alla ricerca interiore verso la conoscenza di sé, si affacciava quella più misteriosa delle tracce di pensieri antichi ereditati da lontanissimi antenati. I loro ragionamenti diventavano sempre più complessi e le parole volavano alte per perdersi dietro qualche nuvola. Fu lo scoprire il dolore mentale in Barbara, più tardi la malattia, che Stefania, spaventata, cominciò progressivamente ad allontanarsi: “Con te, per la prima volta, le due categorie giusto e sbagliato smisero di funzionare. A poco a poco man mano che svaniva l’effetto benefico del mio rumoroso arrivo a casa tua e tu cominciavi a stare male e a spendere le tue energie migliori per nasconderlo mi riempivo di dubbi.” Come se qualcuno avesse fermato il suo tempo, Barbara smise di essere una persona viva per pietrificarsi in un crogiuolo di manie e ossessioni. Come se i suoi sogni fossero la profezia di un’imminente realtà, Barbara precipita poco a poco in un vortice buio del quale non sa vedere la via d’uscita, neppure con l’aiuto dell’amore e di una grande amicizia. Forse l’incapacità di intervenire all’autodistruzione di Barbara, il rimorso per il non aver fatto o non aver capito, gettano Stefania nel doloroso cammino dell’oblio. Ma c’è una cosa che può ancora aiutare a vivere e ricordare serenamente: non dimenticare che i fiori respirano, che il mondo attorno a noi respira. “È questa la tua grande colpa, Barbara: il non aver saputo, il non aver avuto l’umiltà di dire a un fiore, tu respiri come me, aiutami.”

Paola Mazza

 

“Quanto abbiamo bisogno, Barbara, delle nostre minuscole, infinitesime immortalità! segni, segni da tracciare, segni da lasciare.”

Jarmila Očkayová (1955) è una scrittrice e traduttrice slovacca naturalizzata italiana. Si è trasferita in Italia nel 1974, dove si è laureata. Attualmente vive e lavora a Reggio Emilia.
Ha pubblicato, molto giovane, racconti e poesie su diverse riviste di Bratislava. Ha ripreso a scrivere dopo dieci anni di silenzio narrativo, causato dal cambiamento della lingua, e questa volta si è cimentata con l’italiano.
Tra i temi della sua opera l’immigrazione e la ricerca di sé (L’essenziale è invisibile agli occhi, Baldini&Castoldi), l’amicizia tra giovani donne (Verrà la vita e avrà i tuoi occhi, Baldini&Castoldi), il rapporto tra madre e figlia (Requiem per tre padri), l’immigrazione (Occhio a Pinocchio, Cosmo Iannone Editore).