Carmen Martín Gaite è una fata, e come tale non ha età: a una prima occhiata pare una distinta signora sulla settantina, magari un po’ stravagante, con l’immancabile baschetto calcato sulla testa, ma basta guardarla negli occhi o scambiare due parole con lei, e si capisce che ha qualcosa di magico. Forse è la sua generosa vitalità, forse è la facilità con cui comunica, forse è perché vive pensando alla cose che davvero importano, o forse è semplicemente la sua inesauribile allegria, ma sta di fatto che irraggia intorno a sé un calore positivo invidiabile.
Eppure la vita per questa scrittrice spagnola, che ha saputo affascinare non soltanto il grande pubblico ma anche la critica, non è stata facile. Tutt’altro. Dal punto di vista letterario appartiene alla cosiddetta «generación de mediados de siglo», che ha vissuto nel difficile clima post-bellico della Spagna franchista. Di tale generazione di intellettuali fanno parte tra gli altri Luis Martin Santos, Juan Benet, Alfonso Sastre, Ignacio Aldecoa e Rafael Sanchez Ferlosio, che è stato suo marito. Nemmeno le vicende personali più dolorose le hanno tolto la voglia di vivere e di comunicare. E alla base della sua letteratura c’è proprio questo: il dialogo è la spinta che connota l’atteggiamento dei personaggi di tutte le sue opere. La lingua con cui parlano è la lingua della quotidianità, piena di gergalismi, di giochi di parole, di umorismo, insomma è una lingua viva. A una signora che, meravigliandosi di incontrarla sull’autobus, le ha chiesto: «Se lei è quella che io credo, che cosa ci fa qui sull’autobus?», ha risposto: «E lei crede che scriverei come scrivo se non fossi qui?»
Il pubblico italiano ha avuto modo di conoscerla soprattutto grazie all’appassionato impegno di Maria Vittoria Calvi, profonda conoscitrice della sua opera. Il primo romanzo a venire tradotto nel 1993 è Cappuccetto Rosso a Manhattan (La Tartaruga), una favola per grandi e piccoli sulla libertà. Ed è stato subito il successo. Seguono a ruota La stanza dei giochi (La Tartaruga), e presso Giunti Nuvolosità variabile, la storia di un’amicizia al femminile ritrovata grazie alla scrittura. Poi La regina delle nevi, sempre da Giunti, una sorta di feuilleton pieno di colpi di scena, dove il gelo del passato che opprime il cuore di Leonardo si scioglie al calore di un inaspettato riconoscimento. Nell’ultimo romanzo, Lo strano è vivere (Giunti), la giovane Agueda Soler, in seguito alla morte improvvisa della madre, si trova a doversi confrontare con le bugie su cui ha costruito la propria vita: in un vagabondaggio lungo le vie di Madrid e all’interno di se stessa imparerà a sciogliere il nodo delle menzogne e a vivere nella piena consapevolezza di sé.
Carmen Martín Gaite ama anche fare incursioni nella saggistica: tra le sue opere, purtroppo mai pubblicate in Italia, sono interessanti Usos amorosos de la post-guerra e Desde la ventana, un appassionato excursus lungo la letteratura spagnola alla ricerca delle peculiarità della scrittura femminile.
Inoltre, Carmen Martín Gaite è traduttrice (Madame Bovary di Gustave Flaubert, Senilità di Italo Svevo, Pane e vino di Ignazio Silone, Caro Michele di Natalia Ginzburg) e collabora con la televisione e il teatro spagnoli. Da Cappuccetto rosso a Manhattan è stato tratto un balletto a Barcellona, e in Italia ne verrà fatto un adattamento per il teatro dei burattini di Gianni Cosetta Colla, a Milano nel prossimo mese di aprile. Forse è proprio grazie alla sua versatilità che la scrittura di Carmen Martín Gai te non è assolutamente monotona né monolingue. Impiega un castigliano costellato di anglicismi, francesismi, giochi con le parole che varcano i confini linguistici per raccontare storie di libertà conquistate. Forse è per questo che è così bello tradurla.
Michela Finassi Parolo*
«La gente che ha paura del meraviglioso si trova continuamente in strade senza uscita… Nulla potrà scoprire chi pretende di negare l’inesplicabile. La realtà è un pozzo di enigmi.»
* Michela Finassi Parolo ha tradotto tutti i romanzi della Gaite pubblicati in Italia.
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