Ex-Libris-0-6-11

Anno 0 | Numero 6 | Marzo 1997

Quando August Strindberg nacque, nel 1849,  Dostoevskij veniva condannato a morte . “Solo! Ancora una volta abbandonato, senza amici, senza famiglia… e nulla da adorare!” scriveva in Autodifesa di un folle (1894), quinto capitolo della sua autobiografia-fiume, dedicato al primo e forse più importante matrimonio.

In lui tutto oscillava tra la voglia, la necessità di amare e la ripugnanza per i meccanismi distruttivi che l’amore innesca. La sua mente un cavallo, che galoppava via lasciando tutti gli altri indietro. Niente in lui era tiepido. S’infiammava facilmente. Era passionale, ma cercava la verità, e sapeva che le passioni non la possiedono: era passionale perché tutto gli bruciava dentro, ma quel fuoco, dopo aver alimentato l’esistenza, l’avrebbe ridotta in cenere. Sulle ceneri di se stesso trascorre l’uomo la maggior parte dei propri giorni. E forse potrebbe pure evitarlo, ma come? Lui non ci riuscì. Capiva che il matrimonio era una tomba, ma si sposò tre volte, e sempre con conseguenze disastrose. Tentò più volte il suicidio, ma giocare a vivere fu il suo passatempo preferito. Fu geloso di donne che in fondo già odiava. Fu un artista, ma il concetto di arte lo trovava ripugnante: aborrì l’estetismo, ma fu attratto sempre dalla bellezza, dalla bellezza di tutto, delle idee e dei corpi, dei contrasti e delle coerenze. Fu eclettico, ma per esperimento, perché sapeva benissimo ciò che non sarebbe mai riuscito a fare. Fu pazzo, ma anche alla pazzia si avvicinò con consapevolezza: la scelse come si sceglie un’idea, come si indossa un abito, si lasciò prendere e portare via. Inferno (1897), in questo libro descrisse con minuzia e lucidità la sua esperienza di pazzo esiliato che lo aveva portato a lasciare la Svezia per Parigi. Scrisse romanzi, poesie ed epistolari ma tutto, tutto fu teatro: esistere fu teatro, tanto più naturale perché teatro è provare, simulare, scoprire, dimostrare: e cosa altro fu la sua vita? In nessun altro autore biografia e opera si compenetrano talmente. Del suo dramma Padre (1887), scrisse: “Non so se Padre sia poesia, o se lo fu la mia vita. Ma mi pare che arrivino momenti dove ciò diventa chiaro all’improvviso…”

I confini per lui erano sfumati, si fondevano, sfaldandosi: “Rideranno di noi. Che importa? Ridiamone anche noi. Oppure restiamo seri, così… come viene!” (Danza macabra). Pulsioni psichiche, egoismo, morale autarchica e mendace del proprio tempo: buttò in faccia allo spettatore la propria dappocaggine, l’essere schiavo delle proprie fobie. Schiaffeggiò se stesso e gli altri senza preoccuparsi del risultato: il successo venne suo malgrado, né lui lo aveva rincorso. Lo sfruttò per dire quello che aveva dentro: e quello che aveva dentro lo aveva sempre cercato da sé, sperimentandolo sulla propria pelle. Non adulò nessuno, non inseguì la cultura per se stessa ma solo le proprie curiosità; non si fece mai imporre il gusto dell’epoca, piuttosto fu lui iniziatore di nuove direzioni o propagatore di spiriti che erano nell’aria e che lui aveva catalizzato prima di altri: dissero che il suo teatro era naturalista eppure non aveva mai letto Zola, e quando lo lesse si sentì un idiota, perché quell’uomo aveva formulato con sistematicità ciò che nei suoi drammi compariva attraverso l’esperienza. Lo dissero misogino perché sentì le donne come esseri superiori, capaci di opprimere: capì la maternità come eterna fonte di ricatto della donna sull’uomo, castrato dall’impossibilità a generare dal grembo. Descrisse il matrimonio come una lenta lotta per l’annientamento, il conflitto di classe come condanna degli uomini a una diversità imposta dall’alto: descrisse la società come un’arena; difendersi o darsi in pasto. Questi temi compaiono con forza distruttiva nei drammi, ambientati spesso in luoghi-prigione da cui si osserva il mondo come una cartolina: Signorina Giulia (1888), Creditori (1888) e Danza Macabra (1901), tre tra i più rappresentati, geniali manifesti di un teatro che è esperienza totale, incontro con un autore che non ti lascia seduto nell’ombra, che ti agita e provoca. Perché sul palco… potresti essere tu, che differenza c’è?

“… non ci sarà qualche altro punto dolente, qualcosa di segreto, che t’affligge, perché di rado si trova un solo motivo di disarmonia, la vita è così varia e ricca di occasioni d’attrito. Non ti porti addosso qualcosa di morto che non confessi neanche a te stesso?” (Creditori). Quando morì per un cancro allo stomaco, nel 1912, il popolo di Stoccolma lo adorava. L’ultima sua foto lo ritrae solo; una macchia scura che cammina per strada: alle spalle, come un velo, una polverosa nevicata.

Anna Bertini

 

In libreria

difesaAugust Strindberg
L’autodifesa di un folle
Ugo Mursia Editore, 1990 (Grande Universale Mursia. Letture)
A cura di F. Perrelli
Traduzione di V. Faggi
240 p., brossura
€ 9,30

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Tutte le altre opere di Strindberg

  • Maestro Olof (1872)
  • Il padre (1887)
  • Camerati (1888)
  • La signorina Julie (1888)
  • Creditori (1889)
  • Paria (1889)
  • Samun (1889)
  • Avvento (1898)
  • Verso Damasco (1898-1901)
  • Delitto e delitto (1899)
  • Pasqua (1901)
  • Danza di morte (1901)
  • Il sogno (1902)
  • La sonata degli spettri (1907)
  • Il pellicano (1907)
  • Temporale (1907)
  • La casa bruciata (1907)
  • L’isola dei morti (1907)
  • La grande strada maestra (1909)