Il termine biografia è cambiato, o meglio, si è sfaccettato. Un contenitore che si è arricchito di più contenuti, passando con disinvoltura da narrazione di vita esemplare a comunicazione di immagine pubblica seduttiva.

La curiosità-riflessione sui molteplici volti della parola “biografia” ai giorni nostri mi è venuta frequentando i social media. Quelle poche righe che ciascuno scrive per presentare se stesso mi hanno calato in un vero microcosmo ed è così che mi sono accorta di quanto questo termine oggi indichi qualcosa di assai diverso dal mio concetto di biografia scolastico. Provo a spiegarmi.

Nella sua forma originale la biografia richiede due elementi fondamentali: un autore, delegato alla narrazione grazie alla sua autorità riconosciuta, e un personaggio, considerato dalla collettività degno di essere raccontato ai posteri, che pertanto chiamerò eroe. Questo lo schema da cui parto. Che nel tempo si è appropriato e si sta appropriando di variazioni assodate e parallele, espressioni dell’evoluzione nella percezione sociale/letteraria di entrambi gli addendi di questa somma.

La prima variazione che rilevo – e anche la più antica – riguarda l’eroe: non più, non solo un buonobelloegiusto, ma anche un bruttoecattivo. Si può raccontare un antieroe che tuttavia, grazie a un punto di vista differente che lo mette a nudo, conserva il suo dna di eroe. Esempio fulgido per me è Limonov, la biografia scritta da Emmanuel Carrère ed edita da Adelphi nel 2012.

Come si legge nella presentazione del libro, Limonov non è un personaggio inventato. Esiste davvero: “è stato teppista in Ucraina, idolo dell’underground sovietico, barbone e poi domestico di un miliardario a Manhattan, scrittore alla moda a Parigi, soldato sperduto nei Balcani; e adesso, nell’immenso bordello del dopo comunismo, vecchio capo carismatico di un partito di giovani desperados. Lui si vede come un eroe, ma lo si può considerare anche una carogna: io sospendo il giudizio” si legge nelle prime pagine di questo libro. E se Carrère ha deciso di scriverlo è perché ha pensato “che la sua vita romanzesca e spericolata raccontasse qualcosa, non solamente di lui, Limonov, non solamente della Russia, ma della storia di noi tutti dopo la fine della seconda guerra mondiale”. Impossibile non rimanerne colpiti. E, per fare una divagazione con citazione attuale, credo sarà interessante fare il confronto con l’autobiografia di prossima presentazione al Salone del Libro di Torino scritta proprio dal pugno di Limonov.

Variazione n. 2. E per descriverla porto come esempio due fenomeni contemporanei che ritengo interessanti. Ovvero FAQ: A domanda rispondo, la biografia di Fedez pubblicata nel 2016 da Mondadori e Detto tra noi, uscito nel 2017 sempre per Mondadori e con Del Piero protagonista. Le due opere presentano una caratteristica comune che io vivo come novità. La natura di eroe/antieroe rimane: un cantante e un calciatore possono considerarsi a buon diritto eroi contemporanei, icone della nostra società. Questa volta cambia l’autore. In questi due casi le biografie non sono raccontate dalla voce di uno scrittore delegato, bensì da una moltitudine: sono social biography. I ritratti delle due celebrità sono ricostruiti tramite la collezione delle risposte che i protagonisti stessi hanno fornito alle domande dei loro fan su una piattaforma digitale dedicata. Così recita il sito della piattaforma: “Questa non è una semplice biografia. Non è un libro-intervista e neppure il romanzo di una vita. Questa è una social biography, un nuovo modo di raccontare la vicenda umana e professionale di una star che prima non esisteva. Ed è stata creata grazie al progetto eFanswer, una piattaforma social-editoriale che permette agli utenti di interagire con i loro idoli, ponendo loro qualsiasi tipo di domanda”.

La voce narrante cambia nella sua natura: non più autore autorevole che racconta, bensì i fan che scelgono cosa vogliono sapere/raccontare dell’eroe. E qui mi chiedo: siamo davanti a un’evoluzione che ci porta a un prodotto letterario davvero democratico – l’autore è corale, appartiene al popolo e sceglie cosa tramandare ai posteri – o siamo di fronte a uno dei segni del nostro tempo in cui l’immagine pubblica di un personaggio non è costruita sull’essenza propria del soggetto, bensì su come viene percepito dalla collettività? Siccome sono pessimista per natura, non riesco a evitare l’associazione di pensiero con Nosedive, episodio della serie tv Black Mirror che riflette in modo distopico sulla futura pesante influenza della web reputation (e quindi dell’immagine collettiva).

Variazione n. 3. Social media, blog, condivisione digitale globale hanno spinto verso il Do It Yourself moltissime sfere della vita quotidiana, privata e professionale di ciascuno di noi. Non stupisce pertanto che sui social il termine “bio” definisca la presentazione personale che ognuno scrive di se stesso. L’immagine pubblica, a differenza della social biography, torna nelle mani del rispettivo proprietario. Siamo davanti a un’autobiografia dunque? Non proprio, secondo me. In questo caso il protagonista si racconta autonomamente ai molti, ma nel contesto social non c’è più necessità di essere un eroe (o un antieroe) di successo, riconosciuto dalla collettività, né tanto meno di essere autorevole. Narratore e protagonista coincidono nella persona comune. La bio diventa il biglietto di ingresso in una vetrina collettiva dove la persona comune sceglie cosa raccontare e mostrare come proprio quotidiano. Si è persa la necessità della presunta autorevolezza dell’autore, così come della presunta dignità riconosciuta dell’eroe da raccontare a esempio pubblico. Sui social ognuno è l’eroe di se stesso.

E quest’ultima riflessione mi porta a un pensiero estremo, alla base della variazione n. 4. Mi chiedo, non possiamo considerare il fenomeno del personal branding – tema di grande attualità in questi tempi di Do It Yourself anche nel mondo business – una forma più smaccatamente marketing della bio in ambito social? Nella formulazione premeditata della web reputation, il personal branding fa coincidere autore con narratore, che rimane persona comune, ma – a differenza della bio di un account social qualsiasi – costruisce un’immagine selezionata, confezionata, abbellita e studiata ad hoc a seconda del target da sedurre. Un trampolino verso il successo, una promessa.

La mia meraviglia sta nella disinvoltura con cui, nel termine bio, il racconto di vita si evolve in comunicazione dell’immagine pubblica, quella stessa disinvoltura con cui il liquido si assesta nei vasi comunicanti. Quasi a mettere in luce che, nei nostri tempi, ci sia un continuo oscillare fra la vita e l’immagine pubblica. Per tutti. E ripenso a Black Mirror.

Daniela Giambrone