«L’atto della macellazione ha ora in sé qualcosa che non si può vedere ma c’è: un incremento della sacralità e del rispetto che c’erano sempre stati. Questo fa sembrare, o addirittura essere, la bolgia del mercato, in quella sfera di qualche metro di raggio con al centro lui, meno generatrice di rumore».

Passo dinnanzi e dentro il mercato di Porta Palazzo tutti i santi giorni, per recarmi a lavoro.

Ed è lì, tra quel mondo che prende forma all’alba e varia la sua natura e la sua sostanza nelle diverse ore del giorno e della notte, che ho letto il maestoso Invernale di Dario Voltolini.

Un romanzo che sa di personale e universale. Un sentiero che diventa un campo aperto senza confini di tempo o spazio, un paesaggio che ognuno di noi, almeno una volta nella vita, ha abitato.

Siamo nella seconda metà degli anni settanta, Gino è un macellaio e lavora ogni giorno nel mercato torinese di Porta Palazzo. Nel suo mattatoio spacca gli animali e in un misto di carne e sangue il macellaio dal banco del mercato prepara le merci per la moltitudine. Ma un giorno qualcosa va storto e Gino in una delle sue numerose operazioni di taglio si mozza un dito e il suo sangue si mischia a quello freddo della bestia.

«La deviazione riguarda la traiettoria del coltello da macellazione ma anche lo disassa, in modo che cala nel dito della mano non perfettamente di taglio, ma un poco di piatto. Anche così il dito si stacca dalla mano, ma non completamente».

Il macellaio è un padre e a suo figlio Dario lascia, nel tempo della narrazione, un destino e un’eredità, quelli dell’allenamento e della traiettoria, della precisione chirurgica e della nettezza. Del resto, dosare parola e silenzio, frase e misura è un mestiere complesso e assomiglia a quello di disossare carni o affilare lame taglienti, sezionare tagli perfetti, separare frattaglie e scarti. Va imparato bene in un apprendistato familiare e solitario che, pur esercitandosi in sfere differenti, passa di padre in figlio. Nella confusione del mondo, senza norma e disciplina, infatti, “il rischio è quello di logorare in maniera irreversibile la parola”, scriveva Ivano Ferrari, il poeta di Macello.

Che sia il mattatoio in cui Ferrari aveva lavorato, o il banco del mercato del protagonista di Invernale, che sia di uomini o di bestie, nelle carni esposte al tempo e alle circostanze, si condensa la vita in una versione raggrumata e collosa, dove vizi e virtù, pelle e interiora appartengono allo stesso, inesorabile destino.

Il tempo cambia ritmo, il vociare del mercato inizia a essere sempre più confuso, lontano. Il macellaio è un marito, un padre. Si stanca. Si ammala. Tenta la cura.

Dario Voltolini si mette al fianco di suo padre Gino e lo accompagna in un dialogo silenzioso,

Tenterà di aiutarlo imparando un mestiere che non gli apparterrà, lo raggiungerà nell’ospedale in cui la speranza passa per via endovenosa, lo capirà come mai prima di quell’evento improvviso e tremendo.

Torna più volte nelle pagine di Voltolini il riferimento al rumore, parola che contiene in sé il lemma umore. Così, mentre il vocìo rumoroso della folla mercatale si fa più sommesso, in un graduale decrescendo, come in un coro tragico e presago, gli umori dei prelievi mostrano valori sempre più bassi e alterati. Cala anche l’umore del paziente ignaro che avverte, tuttavia, intorno a sé il tacito indicibile.

L’esitazione che manifesta a un tratto il padre non è una slabbratura ma un tempo che il macellaio abita come un luogo, in cui finisce per camminarci dentro fino al punto che la domanda posta a sé stesso, “Dove andrò?”, equivale verosimilmente a un “quando”. È il punto cieco di una traiettoria, una direzione invisibile ma nota, come quello di una pallonata a effetto. E il punto di svolta è quello in cui, con la diagnosi, il fulcro della narrazione e lo sguardo si spostano dal padre al figlio.

Comincia allora un riposizionamento di entrambi nei ruoli e nel mondo, come traiettorie da ricalcolare. Nelle pagine non c’è conflitto tra i due, semmai nostalgia per ciò che non potrà più accadere tra loro.

Dario Voltolini scrive un racconto pulsante e perfetto la cui brevità esalta ogni periodo, rimarca ogni non detto. Per la riuscita mescolanza di sobrietà ed esattezza, Invernale è un libro di perfezione chirurgica e delicata intimità in cui poesia e ventura, carne e verbo, la fine del padre e il racconto del figlio si permeano magistralmente.

Natalia Ceravolo