Anno 1 | Numero 1 | Settembre 1997

How long I slumber’d ’tis a chance to guess.
When sense of life return’d, I started up
As if with wings; but the fair trees were gone,
The mossy mound and arbour were no more:
I look’d around upon the carved sides
Of an old sanctuary with roof august,
Builded so high, it seem’d that filmed clouds
Might spread beneath, as o’er the stars of heaven:
So old the:; place was, I remember’d none
The like upon the Earth:
what I had seen
Of grey cathedrals, buttress’d
walls, rent towers,
The superannuations of sunk realms,
Or Nature’s rocks toil’s hard in waves and winds,
Seem’d but, the faulture of decrepit things
To that eternal domed Monument. –
Upon the marble at my feet there lay
Store of strange vessels and large draperies,
Which needs had been of dyed asbestos wove.
Or in that place the moth could not corrupt,
So white the linen, so, in some, distinct
Ran imageries from a sombre loom.
All in mingled heap confus’d there lay
Robes, golden tongs, censer and chaling dish,
Girdles, and chains, and holy jewelries.

 

Per quanto tempo dormir io posso solo immaginare.
Quando mi svegliai, mi alzai di colpo come se avessi le ali;
ma gli alberi, e il pergolato e la piaggia di muschio, erano scomparsi.
Ora mi trovavo dinanzi al fianco scolpito
d’un vecchio santuario dal tetto così maestoso
e costruito così in alto che un velo di nubi
avrebbe potuto stendervisi sotto, come sopra ,stelle in cielo.
Il posto era così vecchio che io non ne ricordavo
di simili in terra.
Quello che avevo visto, cattedrali grige, torri decrepite, bastioni,
lascito di regni ormai inabissati,
oppure quelle rocce naturali
dal vento e dalle onde
aspramente incise sembravano
soltanto rimasugli di decrepite cose
nei confronti di quell’eterno
monumento a cupola.
Sopra il marmo ai miei piedi erano posti
mucchi di strani vasi ed ampie tele
che sembravano intrecciate con fili
d’amianto colorati, così che
la tarma non potesse corrompere
il tessuto in parte bianco e in parte dipinto
con immagini da un cupo telaio.
Alla rinfusa lì giacevano vesti, incensiere, turibolo,
fasce, tenaglie d’oro, catene, e gioie sacre.

trad. di E. Fazi

 

“That full draught is parent
of my theme.

(Da questo sorso nasce
la mia trama.)”

 

Il viaggio è spesso poetico, così come la poesia è viaggio (l’Andare in Cina a piedi di Giudici), viaggio lento o bruciante, ritorno all’infanzia o anticipazione della morte, visione di Dio o discesa nell’abisso. E la poesia è viaggio anche per il giovane Keats de La caduta di Iperione. Un sogno, composto nel 1818, e rimasto incompiuto.

Con il poeta, allora, trasportati, obliati delle nostre vesti terrene in uno sconosciuto Altro Luogo – parrebbe una nuova dimensione – pur simile alla Terra, ma vuoto (“non v’era in quella valle riparata alcun moto di vita”) e silenzioso, scopriremo presto quel Luogo misterioso essere il “Luogo del Mito”, in cui al poeta sarà dato di contemplare la calma disperante e stagnante successiva alla terribile battaglia fra Titani e gli Dei dell’Olimpo, guidati da Giove, per la supremazia e-il potere, battaglia che ha visto uno solo dei Giganti, Iperione, mantenere salda la regnanza, per essere però presto soppiantato anch’egli da Apollo come Dio del Sole.

Viaggio allora alla ricerca del Mito, per tentare la fondazione di una moderna Mitologia, che consoli e renda sopportabile il vivere il tempo di povertà e di assenza del Dio, ed insieme viaggio alle radici della poesia, per poter segnare il confine che separa quest’ultima dal sogno. Così dunque gli insegna Moneta, la sacerdotessa, ultima custode dell’altare sacro, Virgilio keatsiano. “Tu non sei che cosa sognante, febbre di te stesso.” A dire: ben altra cosa rispetto al poeta, che “riversa un balsamo sul mondo, l’altro – il sognatore – lo affligge.”

Il viaggio “fisico” (l’essere precipitati in un altrove) è, in sé, caduta o l’ascesa dantesca, ed ha un tempo e una durata, o è l’istante acceso ed abbagliante della visione poetica, il fulgore dell’allucinazione che potrebbe ridurre il pellegrinaggio ad un punto di intuizione?

Il frammento non ha conclusione: il viaggio non termina. Continua a soffiare il vento freddo dell’assenza di Dio, della ricerca e apparente impossibilità della poesia (quando non rimane che la “visione” di qualcosa che è appena fuggito), dell’essere arrivati comunque troppo tardi o del non avere comunque le parole per raccontare “Oh quanto goffa essa è per esprimere il grande eloquio degli Dei primevi!”

La vita di Keats fu invece breve viaggio. Iniziò nel 1795 per concludersi a Roma nel 1821. Il poeta aveva dunque 26 anni.

Elena Varvello

 

In libreria

John Keats
La caduta di Iperione. Un sogno

Fazi, 1995
Collana: Le porte
Testo inglese a fronte. A cura di E. Fazi
80 p., brossura
€ 4,99 formato e-book

Compra il libro su Amazon