Una vita dal pensiero denso e interessante, piena sotto tutti gli aspetti e varia in tutte le sue fasi. La giovane scrittrice che, non senza difficoltà, volle lasciare la casa familiare ad un’età giovanissima (discrepanze con la figura materna, tensioni con le due figure genitoriali maschili, rapporto poco sereno con la sorella e i fratelli, insomma: via dalla famiglia, Elsa vuole essere una donna indipendente) si trovò ad affrontare le evidenti difficoltà quotidiane che si trasformavano poi in paura, nei sogni inquieti, nella solitudine. Spesso l’ostilità dell’ambiente sfociava anche nella rabbia e nel timore dell’abbandono. Pur abituata già nella sua infanzia e adolescenza a presentare i suoi racconti alle redazioni di alcune riviste (sostenuta evidentemente dalla madre Irma Poggibonsi la quale, maestra montessoriana, conosceva anche molto bene gli ambienti delle riviste di carattere pedagogico), all’età di poco più di 26 anni  ‘piazzare’ i propri scritti con la doppia finalità di essere retribuita ed apprezzata non era semplice.

Nel 1938 Elsa ricordava i propri sogni e li scriveva diligentemente su un quaderno. A volte il sogno di carattere erotico veniva poi, in parte, ‘censurato’ e nei suoi appunti troviamo delle inquietanti cassature che purtroppo coprono l’integrità del suo racconto. Eppure, questo interessante quaderno, pubblicato con il titolo di Diario 1938 (1989) ma che in realtà è stato catalogato come Lettere a Antonio, o Il libro dei sogni fa da riflesso alla sua esperienza di vita da giovane indipendente, assediata da difficoltà e paure. Nel suo piccolo appartamento di via del Corso a Roma, il desiderio più imponente della scrittrice si condensava nella figura dello scrittore Alberto Moravia, conosciuto da poco, nei confronti del quale Morante sentiva una forte attrazione. Queste Lettere a Antonio, nome spesso riportato solo con una ‘A’ maiuscola, sono chiaramente interpretabili come un discorso aperto a Moravia, corrisposto/non corrisposto, ascoltato/non ascoltato. L’inquietudine e il forte timore di essere sola acquistano forma e parole in questo breve ma significativo diario di sogni del quale riporto l’esempio dell’indifferenza che percepiva intorno a sé: “Su quel divano c’è A. che conversa con un altro. Non fa mostra di accorgersi della mia presenza, per tutto il tempo continua a conversare”  per continuare con una forte emozione quando scrive: “Ieri sera prima di dormire piangevo di rabbia, perché io avevo voglia di amare e invece A. era venuto a farmi visita con V.” Dopo aver affermato “Mi atterrisce il domani incerto” la scrittrice sogna precipizi e dirupi; si sente umiliata perché dovrà portare la sua macchina da scrivere al Monte di Pietà per impegnarla (cosa che farà più volte) e asfissiata dalla presenza della sorella Maria, ancora adolescente, da cui riceve offese e la quale, al tempo stesso, si sente offesa. “Ma soprattutto umiliazione, colpe vaghe, pudore ferito. Che cosa dunque?”

I sogni sono magia e poesia, ma anche terrore e inquietudine. Dire che Elsa Morante era tutta nella fantasia (Cesare Garboli) è in parte vero, e l’affermazione va completata. La scrittrice, amante della letteratura di Kafka, sogna Odradek, uno dei suoi personaggi. Un carattere leggermente kafkiano posseggono alcuni dei suoi racconti come per esempio “Il ladro di lumi” e “L’uomo dagli occhiali”. Il mistero di alcuni gesti poco chiari che il ladro di lumi esegue e la scoperta che la protagonista fa nell’osservare come quest’olio veniva sottratto al tempio, sono reali e inquietanti, veri e strani nel loro insieme. Inquietano chi si sente costretto al furto, così como inquietano la bambina che lo scopre. Osservo una certa azione, ma anche un blocco nelle azioni: la paura determina una stasi, una mancanza di attività e il tempo narrativo è un tempo lento per questo. Così come ne “L’uomo dagli occhiali”, questo uomo silenzioso che osserva la bambina all’uscita da scuola ricorre esclusivamente alla vista come uno dei sensi: nessun altro contatto se non l’osservare tutti i giorni la giovane all’uscita da scuola, per poi perdere del tutto la cognizione del tempo. Un tempo di malattia, di delirio o di assenza: una sottrazione alla vita, chi lo sa, forse come colpa per aver osservato troppo, per aver creato imbarazzo alla bambina e alle sue compagne di scuola. Le emozioni di Morante, che si esprimono attraverso i suoi personaggi, sono spesso delle pennellate vigorose, altre invece seguono un disegno tenue e delicato. Questi due racconti formano parte della raccolta Lo scialle andaluso (12 racconti pubblicati nel 1963 e scritti tra il 1935 e il 1951).

Uno dei sogni riportati in Diario 1938 è il famoso sogno della cattedrale: spazio perfetto  nelle sue navate,  absidi, gradinate, altari e il cui peso è sostenuto da colonne e pilastri. “L’immensa cattedrale sognata” è un  alternarsi di vuoti e pieni adornati dalle vetrate che la scrittrice paragona alla stesura e  alla “costruzione del racconto”, quando ricorda che nelle ore diurne aveva parlato “dell’arte nel romanzo e nell’intreccio”. La cattedrale rappresenta la struttura del romanzo, le scene isolate sono le vetrate e la costruzione architettonica è costituita dai personaggi, ciascuno con la sua funzione, che sono lì a sostenere il peso dell’edificio. La costruzione della cattedrale è l’espressione artistica di Morante che prende forma sia nei racconti o romanzi, così come nella poesia. Prendo come spunto questa riflessione per introdurre il pensiero letterario, artistico e politico della scrittrice che ritroviamo nella raccolta di saggi dal titolo Pro o contro la bomba atomica (1987). Lo scrittore ricorre alla verità e tale verità corrisponde alla bellezza; l’opera letteraria che non è autentica è dunque irreale e di conseguenza è brutta. “La letteratura nasce dalla difficoltà di scrivere, non dalla facilità” sosteneva Calvino; Morante sostiene che lo scrittore sarà sicuro di aver scelto il suo ruolo professionale solo dopo aver superato la prova dell’angustia. Questa emozione, ricorrente nel lessico morantiano, è intrinseca agli esseri umani ed è ciò che stabilisce la differenza dal mondo animale. Una volta superata tale angustia, l’artista apre la propria strada verso una maggiore sensibilità e maggiore creatività. Ammiratrice tra l’altro di Umberto Saba, Morante lesse il suo romanzo Ernesto che venne poi pubblicato postumo (1975). Quando scrisse una breve recensione al testo, difese apertamente la funzione dell’erotismo sia nella letteratura come nella vita delle persone, criticando la mentalità piccolo borghese che falsifica in modo ipocrita e si circonda di tabù. Il riferimento all’accettazione della omosessualità è evidente -questo il tabù che circondava il romanzo di Saba- analogamente alla presa di posizione critica nel famoso caso Braibanti (recentemente oggetto anche di un film) da parte della scrittrice.

Nella stessa raccolta di saggi troviamo alcune pagine dedicate alla pittura del Beato Angelico, di cui Morante apprezza l’intensità della luce, che gradualmente forma una ampia gamma di colori e permette un avvicinamento quasi mistico al cielo. Questo pittore unisce in sé le due caratteristiche della sensibilità e della ragione ma, soprattutto, della bellezza in quanto armonia e verità. Quell’armonia che la scrittrice ha sempre cercato nella musica, nella pittura, nell’arte e anche nella vita sociale e politica. Difficile questione, quella dell’impegno politico, in qualsiasi periodo storico e in particolare negli anni del XX secolo in cui visse Morante.

All’arte Morante attribuisce la funzione di individuare gli aspetti mostruosi della società, nascosti sotto l’apparenza della violenza, dell’ingiustizia, del caos e del potere. L’uso abusivo di quest’ultimo è in fondo una dei fili conduttori del romanzo La Storia (1974). Ma lo è anche di quel periodo storico che, dall’attentato alla banca dell’Agricoltura di piazza Fontana a Milano il 12 dicembre del 1969, dette il via a quel periodo buio chiamato ‘gli anni di piombo’. Attentati e violenza, omicidi, truffe e inganni (oltre a strane morti, strani suicidi, omicidi senza colpevoli…) ecc ecc. Elsa Morante comininciò a scrivere sull’abuso del potere e sull’ingiustizia, sul mondo così come lei lo vedeva e di questo voleva parlare con Goffredo Fofi. Intorno agli anni ’70 scrisse il Piccolo Manifesto dei Comunisti (senza classe né partito) (ritrovato tra le sue carte post mortem e poi pubblicato nel 2004) nel quale elenca 13 punti che vanno da ciò che Morante definisce la falsa rivoluzione, alla libertà dello spirito, all’onore e al disonore degli essere umani, alla questione della società che si fonda sul potere versus la necessità dei veri rivoluzionari di assumere una posizione contraria al potere. E scrisse quella Lettera alle Brigate Rosse (mai inviata) datata 20 marzo 1978 e che possiamo leggere nella stessa pubblicazione del 2004 del Piccolo Manifesto. Di questa lettera riporto parte di quel paragrafo che Morante aggiunse in un secondo momento: “Chi disprezza la persona umana, e non se ne vergogna, disprezza, per primo, la propria persona. E come può presumere di instaurare una società più degna chi non si rende prima degno, nel suo interno, del rispetto di se stesso? (…) Le società instaurate sotto il disprezzo della persona umana, qualsiasi nome prendono, non possono essere che fasciste: ossia società dove vige la sopraffazione dell’uomo sull’uomo, e la repressione più atroce, e le torture (…)”. Le riflessioni morantiane sull’uso e abuso del potere sono il continuum di quelle riflessioni sulla necessità di smascherare l’ipocrisia e la falsità della nostra società.

Se, come affermava Natalia Ginzburg, “è difficile parlare di sé” Elsa fa parlare i suoi personaggi, i suoi scritti, i saggi e le poesie. Attraverso questa produzione narrativa, poetica e saggistica arriviamo a Morante come autrice e come persona.

Ritorniamo allora, in un certo senso in modo ciclico, a quei primi racconti della scrittrice in cui l’ingenuità, il timore, la difficoltà a comprendere alcuni aspetti della vita (“Il cugino Venanzio”, “Il gioco segreto”, “Il soldato siciliano”) altro non sono che il primo passo verso il mondo reale e onirico, fatto di fantasia e di realtà, di bellezza e del suo contrario. La scrittrice, che sa creare un mondo di fantasia, si muove altrettanto bene nel mondo attuale e reale nel quale, como è evidente, tutto o quasi tutto dovrebbe essere cambiato. Il primo cambiamento tra tutti dovrebbe essere l’uso e l’abuso del potere.

Flavia Cartoni