Ex-Libris-0-8-4

Anno 0 | Numero 8 | Maggio 1997

“La razón de la sinrazón” (la ragione dell’irragionevole) potrebbe essere un ottimo incipit al capolavoro di Miguel de Cervantes Don Chisciotte, incentrato sulla “locura” (pazzia) di un anziano gentiluomo, affascinato dalle gesta cavalleresche di eroi rinascimentali. La sua “attrazione mentale” è così intensa dal fargli credere fermamente di essere egli stesso un valoroso cavaliere errante, con tanto di scudiero, Sancho Panza. In tal modo, i vari Rinaldo da Montalbano, Gano di Maganza, Amadigi di Gaula prendono vita in questo generoso e puro che aspira a diventare un eroe, non per onore personale, ma affinché le sue gesta, celebrate per il mondo, facciano trionfare la giustizia e il bene; così decide di mettersi in viaggio sul suo cavallo malconcio, Ronzinante, per proteggere la vedova, l’orfano, il povero, e non dare tregua ai malvagi. Un adoubé autodidatta, insignito di tale nome, dopo essere stato consacrato da un oste (scambiato per un cavaliere) e dopo aver vegliato le armi, fide compagne di ventura, al suono immaginario delle ghironde (strumenti musicali che accompagnavano la cerimonia). Don Chisciotte è un vero prudhomme, la sua ingenuità è disarmante, come lo è la sua perniciosa convinzione dell’inesistenza di separazione tra la vita reale e metaletteraria. È un autore di una disperata, seppur meticolosa rilettura del mondo: è un valido interprete della realtà, perché riesce a superare l’impasse tra vero e finzione, quasi si dimentica che è lui stesso un personaggio di un libro, come Focault lo definisce «un lungo grafismo magro come una lettera di stampa emerso direttamente dallo sbadiglio dei libri». Senza dubbio Don Chisciotte è un personaggio eteroclito, ma non condannabile per questa sua “stravaganza” bonaria, in quanto egli rappresenta l’uomo, che reagisce ai vincoli estenuanti e oppressivi di una bieca e triviale realtà per inseguire candidamente i suoi ideali, in un mondo in cui i valori “sacri” e “giusti” possano finalmente vincere il male. E una scelta “sensata”: uscire dal tedium vitae e illudersi di ripulire il mondo dalle brutture… E tenerezza il sentimento che nasce e che le pagine del romanzo di Cervantes ci infonde. Il simpatico cavaliere dall’aspetto emaciato che brandisce una lancia degna di una nobile Quintana, curvo sul suo cavallo e sicuro della sua forza. Al suo fedele scudiero, Sancho Panza, acuto contraltare, l’ingrato e gretto compito di ammonire il suo padrone, di condurlo fuori dai meandri della fantasia per riportarlo razionalmente a quelli della realtà, una realtà che si avvinghia all’uomo, lo svuota, lo limita, lo schematizza in una inerzia terrestre terribile. Don Chisciotte non si piega a questa normalità e indossa la maschera della pazzia che gli conferisce il potere di liberare tutto ciò che si nasconde nel suo cuore. Del resto la pazzia è annidata in tutti gli uomini (è più pazzo Don Chisciotte a scambiare dei mulini a vento per giganti, o Sancho a seguirlo nelle sue surreali avventure?). La pazzia che Cervantes usa per il suo eroe non è l’equivalente metaforico di una debolezza radicata, ossia nemesi di una hybris individuale, ma una costituente universale di quella irrazionalità latente o palese, comune a tutti. Nell’Elogio della pazzia, Erasmo da Rotterdam sentenzia: «è tanto dolce non avere la testa a posto: tutto può essere deprecato tranne la pazzia». Nel caso di Don Chisciotte il vero senno è la pazzia, l’acume dei suoi discorsi si delineano su due versanti: quello della ‘logica’ del delirio (far trionfare il bene) e quello dell’infatuazione letteraria. Una alienazione dell’analogia, la definirebbe Focault. La sua “madness in reason” sfugge ad ogni criterio di classificazione conferendogli il privilegio di cogliere il nesso univoco tra realtà e immaginazione. La sua vita è una tragedia dell’avere in cui la realtà si trasforma in una voragine di oggetti che assorbe inesorabilmente chi li vuole possedere. Cervantes non ha fatto altro che dividere gli uomini in due categorie: i don Chisciotte e i Sancho Panza gli uni impavidi e fedeli ai propri valori, gli altri ‘razionali’ ma sciocchi con barlumi improvvisi di filosofia empirica. Allora, dove finisce il senno e inizia la pazzia? A Don Chisciotte non interessa saperlo, e, imbevuto del sapere del suo libro si allontana lentamente verso nuove avventure.

Tiziana Masucci

[…] vorrei rendere omaggio alle grandi parole sempre più necessarie. Bioy: “Oggi, in quest’isola, è accaduto un miracolo”. Sarmiento: “Ombra tremenda di Pacundo, ti evocherò”. Cervantes, che ha inventato tutto […].