Ex-Libris-0-8-5

Anno 0 | Numero 8 | Maggio 1997

Per noi che abbiamo scelto di scrivere lo sport, seguendo la vocazione e senza per questo sentirei condannati automaticamente a un’eterna serie B, il nome di Osvaldo Soriano è musica dolce. Soriano era un poeta. Dolente, trasognato, romantico, ironico, paradossale. Amava il calcio, l’aveva giocato e ne ha scritto con grande rispetto. È morto che non aveva neppure 54 anni, a causa di un tumore, pietosamente scambiato per polmonite, al suo primo insorgere.

Soriano era argentino, di Mar del Plata, e a me ha sempre ricordato il nostro grande e compianto Giovanni Arpino. Non per lo stile, o per gli argomenti o qualche altra affinità letteraria. Perché entrambi sapevano accostarsi allo sport, non con la spocchiosa banalità di chi scende dal piano superiore, ma con l’affettuosa competenza di chi conosce la materia, la sua umanità e la sua etica. Mi ha fatto piacere apprendere, in un secondo tempo, che proprio Arpino era stato lo scopritore di Soriano, in Italia. Il suo fantastico libro d’esordio, Triste, solitario y final (i titoli di Soriano sono tutti bellissimi, mutuati dal tango, come il tango musicali e malinconici) giaceva discretamente snobbato in libreria, Arpino ne fu sedotto, ne tracciò un elogio importante: «Se mai ho invidiato un libro, eccolo».

Era nato a Mar del Plata, Soriano, ma le sue radici affondavano saldamente in Patagonia, nella Terra del Fuoco, nelle cui sconfinate vastità aveva vagato in prima fanciullezza al seguito del padre, funzionario soggetto a continui trasferimenti. Là il calcio l’aveva conquistato, era stato attaccante semi professionista, anzi bomber, di una squadra dal nome strampalato, Cipolletti, perché così si chiamava l’ingegnere italiano che aveva fondato il paese. Non riusciva facile a identificare Soriano, e il suo fisico rotondo, con un implacabile fulminatore di reti, eppure lui ne parlava con grande serietà. «Smisi quando mi si era ristretta la porta». Sosteneva che gli attaccanti di razza vedono la porta più grande degli altri, per questo segnano con maggiore facilità. Poi viene il momento in cui i pali si avvicinano, ed è l’ora di smettere.

Adorava Maradona, in cui forse identificava uno dei tanti poveri eroi, che erano i protagonisti dei suoi romanzi. Scrisse memorabili partite fantastiche, in cui il pallone era la metafora, l’amore, la nostalgia. «Il calcio – diceva – confonde le ideologie, mette insieme il buono e il cattivo». E questa mescolanza continua dei ruoli era in fondo il suo credo. Mister Peregrino Fernández, un’altra sua memorabile creazione, forse rifaceva il verso al mago Herrera. Aveva allenato al Parco dei Principi, ma aveva mandato in campo una squadra di dodici giocatori, con due numeri sette. Per questo aveva dovuto rifugiarsi in Australia, dove il suo calcio spettacolo incantava le folle, con punteggi paradossali.

Soriano aveva lasciato l’Argentina, dopo il golpe militare del ’76, e vi aveva fatto ritorno alla fine della dittatura. Il suo secondo periodo, secondo i critici, rifletteva una minor carica ironica, semmai una nostalgia smarrita. In Italia capitava spesso, Balbo e Batistuta erano i suoi riferimenti, anche se Maradona restava unico. «Ne nasce uno ogni quindici anni, non meno. Dopo Pelè, Maradona». Sosteneva seriamente che Diego ai Mondiali del ’94 era stato abbattuto da una congiura politica, ultimo atto di una lunga persecuzione.

Soriano scrisse Pensare con i piedi, questa volta non c’era tango, nel titolo, solo il calcio e la sua eterna metafora, il pallone che era il mondo, la cui partita non finisce mai. Come il rigore fischiato dall’arbitro al novantesimo della finalissima, che non viene tirato, anzi determina la sospensione dell’incontro per una settimana. Durante la quale, il portiere e il rigorista continuano ad allenarsi senza posa, parate e tiri uno sull’altro, non è questa la partita della vita?

Eravamo fermi a Umberto Saba, quando dovevamo trovare padri nobili allo sport, a Saba e al suo elogio del gol, «pochi momenti come questo belli è dato sotto il cielo di vedere». Poi è venuto Soriano, a dirci che la poesia la puoi trovare anche in un pallone.

Adalberto Bortolotti

 

«Quando Soriano giocherà in una squadra senza tante scamorze sarà un fuoriclasse.»

Peregrino Fernández, el mister