Scritto e pubblicato nel 1996, Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare di Luis Sepúlveda, non è una semplice fiaba, ma un romanzo sulla diversità, sull’affetto profondo che lega due persone che si amano, sull’andare oltre i confini della realtà.
Zorba, un gatto “nero grande e grosso”, accetta di mantenere tre promesse, di non mangiare l’uovo che Kengah, una gabbiana in fin di vita a causa del petrolio, ha appena deposto, di proteggere e prendersi cura del piccolo e di insegnargli a volare. Zorba è un gatto di porto e i gatti di porto non spezzano mai le promesse. Kengah muore, divorata dalla “peste nera” che l’ha colpita nel mare del Nord. Zorba diventa padre, madre, tutto per quell’uovo e per la gabbianella che ne nasce. Zorba e i gatti del porto diventano la famiglia di Fortunata che cresce accudita e amata, sino a quando non spicca le ali per volare via.
Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare ha la grazia di una fiaba e la forza di un romanzo che insegna a noi lettori a volare oltre.
In Italia nel ’98 viene prodotto il film La gabbianella e il gatto con la regia di Enzo D’Alò e la sceneggiatura di Umberto Marino. Lo stesso Sepúlveda partecipa al progetto, doppiando il poeta, padrone di Bubulina. Le voci di Zorba e del Grande Topo vengono date a Carlo Verdone e Antonio Albanese, Ivana Spagna presta la sua vocalità alla canzone di Kengah. La gabbianella e il gatto riscuote un grande successo sia in Italia che all’estero, tanto da portare Enzo D’Alò alla vittoria de “Il nastro d’argento”.
Ma la sceneggiatura di Marino presenta degli elementi differenti dal romanzo, alcuni però dettati dalle regole della scrittura cinematografica. Nel romanzo di Sepúlveda, non vi è un vero e proprio cattivo che accompagna la storia. Abbiamo prima il petrolio che porta via Kengah, poi i due gatti nemici di Zorba che tentano di mangiare Fortunata, poi i topi con cui però Zorba stipula un accordo. Lo stesso umano che si occupa momentaneamente di Zorba rischia di scoprirli ma poi Fortunata viene protetta. Ma a noi, lettori del romanzo, non interessa che ci sia un vero cattivo, noi seguiamo la storia e la vicenda di Fortunata e vogliamo indagare il suo rapporto con Zorba, con i gatti del porto, per scoprire se riuscirà o meno a volare. Nei film, invece, soprattutto per bambini, si pensi a esempio alla Disney, un cattivo cattura l’attenzione e la mantiene alta per tutta la narrazione. Spezzettarlo in più figure risulta confusionario, per cui Umberto Marino, ha optato per riunire tutto l’agglomerato di possibili cattivi sotto un unico gruppo che costituisce un topos tipico della favola, il contrasto tra gatto e topo. Marino costruisce la rete di guerre tra gatti e topi sino ad arrivare al climax della storia in cui il cattivo rapisce Fortunata ma poi viene battuto con lo stratagemma di Diderot, “il grande formaggio”, ripreso dal famoso cavallo di Troia, in cui i gatti del porto si nascondono per entrare nel covo dei topi e sconfiggerli. Viene quindi sfruttata anche la capacità dei singoli personaggi che riescono a dare il loro contributo alla dinamica della storia.
Inoltre, se c’è una cosa che si impara presto quando si studia il linguaggio del cinema, è che una storia d’amore cambia sempre la narrazione, la rende molto più attrattiva agli occhi dello spettatore. Per questo, viene fin da subito presentata Bubulina, alla quale Zorba fa il filo goffamente. Sepúlveda invece ce la presenta solo alla fine del romanzo, come la gatta che ci rende possibile parlare con l’umano che sbloccherà la situazione finale. Secondo dettame della sceneggiatura: mai introdurre un personaggio alla fine del film o nel terzo atto. Lo spettatore si sente preso in giro, il gioco è stato truccato. È bene che quindi i singoli personaggi ci siano presentati prima, doppia ragione per porre Bubulina sotto i riflettori fin da subito. Sottolineare poi il suo legame con Zorba è un escamotage per rendere ancora più interessante la sua storyline all’interno della pellicola.
La storia di Zorba e Fortunata permette a Sepúlveda di indagare il legame padre – figlia che si crea tra i due, seppur la paternità non sia biologica e i due siano opposti, diversi. Più volte l’autore nel corso del romanzo ci tiene a sottolineare quanto sia importante l’accettazione della diversità e quanto possa essere punto di forza invece che di debolezza. Essere diversi non è un male.
“Ti vogliamo gabbiana. Sentiamo che anche tu ci vuoi bene, che siamo i tuoi amici, la tua famiglia, ed è bene che tu sappia che con te abbiamo imparato qualcosa che ci riempie di orgoglio: abbiamo imparato ad apprezzare, a rispettare e ad amare un essere diverso. È molto facile accettare e amare chi è uguale a noi, ma con qualcuno che è diverso è molto difficile, e tu ci hai aiutato a farlo. Sei una gabbiana e devi seguire il tuo destino di gabbiana. Devi volare. Quando ci riuscirai, Fortunata, ti assicuro che sarai felice, e allora i tuoi sentimenti verso di noi e i nostri verso di te saranno più intensi e più belli, perché sarà l’affetto tra esseri completamenti diversi.”
La bellezza sta proprio nella loro diversità che è il punto di forza del loro legame e del loro rapporto. Zorba ama Fortunata anche se biologicamente non è sua, ma è come se lo fosse. E questo è un insegnamento così grande racchiuso in così poche parole, che lascia intravedere l’unicità del narratore nel plasmare le parole. Il rapporto col diverso ritorna sempre nella fiaba, anche quando alla fine Zorba sceglie di comunicare con un umano pur di aiutare Fortunata a volare. “In genere gli umani sono incapaci di accettare che un essere diverso da loro li capisca e cerchi di farsi capire”, ma il poeta a cui lui si rivolgere può andare oltre, perché lui vola con le parole e con la mente, perché lui usa l’immaginazione, che spesso noi adulti abbiamo del tutto dimenticato. “Vola solo chi osa farlo”, nella vita sempre. In qualsiasi occasione, è l’andare oltre i confini della routine e della realtà, per fare quel passo e superare la linea, che ci porta a vivere. A qualsiasi età, in qualsiasi circostanza, si può volare, se lo si desidera. Non a caso, quando Fortunata, crede finalmente in se stessa, riesce a volare. E non quando glielo impongono gli altri, ma quando lei lo sceglie liberamente. E nonostante faccia male, lasciare chi ama, spicca il volo perché quello è ciò che desidera di più, ciò che brama. E Zorba, per quanto la ami, deve farsi da parte, perché nei rapporti, che siano d’affetto o d’amore, bisogna anche lasciar andare. Sepúlveda ce lo insegna attraverso due semplici animali che si amano. Sepúlveda ci regala il senso della perdita, ma anche della rinascita, del prendersi cura di qualcuno e dei sacrifici che questo comporta. Sepúlveda rende possibile e concreto l’amore tra diversi, qualsiasi sfumatura abbia.
Nel film d’animazione, l’appartenenza di Fortunata al clan dei gatti col conseguente superamento delle barriere della diversità, ci viene ricordato con la famosa canzone Siamo gatti di Samuele Bersani, una piccola perla per tutti i bambini. Nel film però vi è la tendenza ad aggiungere i personaggi più vicini ai bambini, come ad esempio Pallino, il gatto cucciolo rosso o la figlia del poeta che poi aiuta Zorba a far volare Fortunata. Il messaggio che invece Sepúlveda imprime tra le righe è che ad aiutare un gatto sia proprio un adulto. La potenza della scelta ci arriva e ci investe. Non è un bambino, con la sua vicinanza alla fantasia e alla rottura dei limiti imposti dalla società, ma è un adulto in carne ed ossa a portare Zorba e Fortunata sino alla cima del campanile di San Michele e ad assistere al compimento della terza promessa. Inserire una bambina spezza quell’incantesimo che Sepúlveda crea fra le ultime pagine del romanzo. In più, Zorba parla alla bambina durante un sogno, mentre Sepúlveda sfonda la parte dell’incredulità e lascia che Zorba instauri un rapporto con l’umano poeta. Purtroppo, il target a cui è rivolto il film, ha fatto sì che la carte in tavola fossero cambiate. Per questo, è importante che questa favola sia letta e assaporata nella sua essenza.
Nel cartone, la diversità è ovviamente tema cardine ma la sfumatura vira sull’identità, concentrando Fortunata su atteggiamenti simili ai gatti e sul suo sentirsi una gatta fin da sempre, aspetto che nel romanzo non è così pregnante, se non nella scena in cui appunto la gabbianella scopre di appartenere ad un’altra razza. Identità e diversità sono facce di una stessa medaglia che si intrecciano fra le parole di Sepúlveda assieme all’affetto, all’amore, al sacrificio, alla morte, alla perdita, all’esplorazione della fantasia, e alla libertà. L’autore riesce persino a far intravedere il suo rispetto e amore per la natura, denunciando le immissioni di petrolio in mare.
Sepúlveda cura ogni minimo dettagli e caratterizza tutti i personaggi della sua storia, ogni gatto ha una sua specifica personalità, che D’Alò ha riportato nel cartone, troviamo Zorba grande e grosso, Diderot e la sua enciclopedia, Colonello con la sua saggezza e goffaggine, Segretario, il tutto fare, e persino Sopravento il gatto di mare (Rosa dei Venti nel film). La scrittura di Sepúlveda ha respiro, scandisce le giuste pause e accelera quando il momento lo richiede, accarezza il lettore e lo accompagna sino allo slancio finale, in cui lo lascia andare via. Il cartone di d’Alò è un’esperienza sia per più piccoli che per più grandi, ma Sepúlveda è semplicemente poesia.
Ilaria Amoruso
“Ma il loro piccolo cuore
Lo stesso degli equilibristi
Per nulla sospira tanto
Come per quella pioggia sciocca
Che quasi sempre porta il vento,
che quasi sempre porta il sole.”
(I gabbiani, Bernardo Atxaga)
E tu cosa ne pensi?