L’Arminuta l’ho letto tutto d’un fiato.

L’Arminuta è la restituita, dietro questo soprannome si cela uno strappo, un dolore, un mondo fatto di interrogativi su di sé e sugli altri, una rivoluzione o forse potrei dire una centrifuga; questa ragazzina alle soglie dell’adolescenza riesce a restituirmi lo stesso strappo, lo stesso dolore, gli stessi interrogativi, la stessa centrifuga di pensieri che pagina dopo pagina mi hanno avvolta e trascinata in continui scambi di ruolo fra la donna matura, la bambina cresciuta e la madre incapace d’empatia.

È un romanzo che per me lascia spaesati perché questa restituzione avviene in modo lineare, puro, semplice, schietto nei modi e nelle parole, come solo certi intimi pensieri sanno essere.

Tutto a mio avviso è perfetto in questo romanzo, la lingua, curata e facile, gli scenari surreali di una realtà disagiata fortemente attuale, la storia che come racconta omette, i personaggi completi sotto ogni punto di vista, dalle espressioni ai lineamenti dell’anima, passando per gli indumenti e la gestualità, la quotidianità che si fa largo pagina dopo pagina fino a tessere la rete di un ragno invisibile, i sentimenti altalene in continuo movimento cavalcate ora dall’arminuta, ora dalla sorella, ora dalla madre ora dalla non madre.

Questo libro credo sappia dare molto perché non è solo un romanzo profondo apparentemente senza una trama definita, è un libro che per chi vuol vedere oltre, apre gli occhi su dinamiche particolarmente attuali, su abbandoni e ricongiungimenti che il nostro quotidiano sociale ben conosce, perché oggi di arminute credo ce ne siano più di quante immaginiamo.

Francesca Pavese