Figlia di un diplomatico, Chiara si sente come un albero (metafora questa che attraverserà l’intero libro e che ho trovato molto originale). Infatti, è cresciuta ovunque ma, contemporaneamente in nessun luogo, sperimentando così un completo sradicamento. Questa condizione sembra finire quando si stabilisce a Roma, con il marito e i figli.
Fino al giorno in cui incontra Olivier, affascinante poeta francese.
Da quel momento in poi, la sua vita torna a essere sradicata.
Ma si tratta di una scelta totalmente libera da parte della donna, spinta da una passione che le dona nuova linfa vitale.
E poco importa se, ancora una volta, dovrà dividersi tra Roma e Parigi e vivere il loro amore in stanze d’albergo, ovvero in luoghi anonimi, che ospitano tutti, ma nessuno in particolare.
Ma i nostri protagonisti non sembrano soffrire poi tanto questa situazione, esattamente come non patiscono due alberi avvinghiati, anche in assenza di un’intera foresta intorno a loro.
Ma quando poi, il Covid varca i confini dell’Europa, tutto è destinato a interrompersi.
A quel punto, anche Chiara e Olivier si trasformeranno in alberi immobili e solitari che, solo sporadicamente, possono avvinghiarsi, nutrendo così le anime e i corpi.
Nonostante le difficoltà, riescono comunque a resistere.
Ma un giorno, il cuore di Olivier si ferma per sempre strappandolo da questa Terra (di nuovo come un albero sradicato) e lasciando Chiara preda di una sofferenza indicibile che l’Autrice prova comunque a narrare.
Lo fa attraverso una coraggiosa autobiografia senza filtri e non un romanzo; credo che questa scelta le consenta tra l’altro, di riprendere, in vari punti del libro, la scena in cui lei vaga per la città (Roma o Parigi) senza una meta, gridando il nome dell’amato.
Nel genere autobiografico curativo, infatti, le ripetizioni, non vengono percepite come mancanza di originalità, ma bensì rispondono all’esigenza di elaborare una situazione problematica che chi scrive sta vivendo.
Ma non è tutto.
Mente leggevo questo libro, non ho potuto far a meno di pensare al fatto che l’autobiografia è un genere letterario il quale, senza ombra di dubbio, espone molto di più chi scrive; oserei dire che lo lascia nudo di fronte a chi legge, esattamente come senza vestiti sono gli amanti.
Amanti che, a mio modesto avviso, vivono una doppia contraddizione.
Da un lato, infatti, non hanno bisogno degli abiti, perché non possono presentarsi al mondo; dall’altro, vorrebbero gridare il sentimento che li unisce, anche se ciò comporta rivestirsi e rinunciare, almeno per un po’, all’intimità.
Loretta Del Tedesco
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