Leggere è entrare in risonanza – con un mondo, un personaggio, una storia, un autore.

Leggere è anche un gesto controintuitivo.

Per affrontare l’estate, soprattutto i suoi aspetti più sgradevoli – il caldo, l’umidità, le zanzare -, forse, il libro giusto potrebbe rivelarsi L’invenzione dell’inverno.

Il suo autore è Adam Gopnik, collaboratore di lungo corso del  New Yorker che ha pubblicato saggistica e libri per bambini.

L’invenzione dell’inverno è un saggio diviso in cinque parti, tante quante s le conferenze che gli sono state richieste per le Massey Lectures nel 2011 e che sono finite in forma più libera qui dentro.

Gopnik fa parte di quella ristretta schiera di autori che riescono a scrivere saggi appassionanti come romanzi d’avventura e a offrire un punto di vista alternativo su argomenti triti e ritriti. L’aveva già fatto con i libri precedenti dedicati uno a New York e l’altro a Parigi.

Stando alle sue parole il libro è “una riflessione sul perché l’inverno – una stagione per lungo tempo considerata come un segno di allontanamento della natura dal suo stato di grazia – sia diventato per noi un momento di calore umano.”

La riflessione di Gopnik è illuminante. L’inverno diventa lo specchio dentro cui far apparire la differenza tra illuminismo e romanticismo, ad esempio, ma anche un prisma che ci permette di capire come pensavano e sentivano artisti del calibro di Friedrich, Monet, Goethe, Coleridge, Vivaldi.

Gopnik riesce a spostare la nostra idea di inverno raccontandoci come che la nascita del riscaldamento centralizzato l’abbia reso qualcosa da vedere al di là della finestra, una nuova provincia dell’immaginazione.

Notevole è la parte dedicata alle esplorazioni di Artide e Antartide, osservata non tanto a partire dalle imprese, ma dalle motivazioni: economiche, militari, personali. Gli episodi sulla vita comune degli esploratori offrono squarci sociali sorprendenti e rivelano come libri del genere potrebbero sbaragliare i volumi di storia propinati nelle scuole. Potrebbero offrire una panoramica complessa e interdisciplinare della storia e non una pura elencazione di vicende politiche e militari. Comunque.

La parte più intima e riuscita è consacrata alla nascita del Natale, alla percezione che ne abbiamo oggi, a come rappresenti per noi il desiderio segreto di rinnovamento.

Gopnik ricorda Alex Ross, che qualche anno fa ci ha mostrato come sia possibile parlare di musica classica da una prospettiva nuova e avvincente nel suo Il resto è rumore.

A pensarci bene, anche quest’ultimo potrebbe diventare una proposta di lettura estiva. Un’immersione del frastuono del Novecento di fronte al frangersi calmo delle onde o ai silenzi delle vette.

Marco Ravasio