Nato a Calzada de Calatrava il 25 settembre del 1949. Regista e, di gran parte dei suoi lungometraggi, anche autore dei soggetti e delle sceneggiature. Definito da molti trasgressivo, inutile, dissacratorio, scabroso e chi più ne ha… Pedro Almodóvar ha percorso un sentiero cinematografico ben difficile, imponendo delle scelte violente e per questo lungi dall’essere acclamate subito dal grande pubblico ma mai rinnegandole, guadagnandosi così faticosamente la sua celebrità. Da Labirinto di passioni (1982), Légami (1989), Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del mucchio (1990) – che sicuramente non ha avuto, più degli altri, grandi apprezzamenti – a Tacchi a spillo (1991) o Kika. Un corpo in prestito (1993) – e ne abbiamo tralasciati altri – Almodóvar si è districato, con sapiente naturalezza, tra desideri di uccisioni e pass ioni travolgenti; tra amori che si esprimono con violenza, come se questo fosse l’unico modo per far capire all’altro quanto si ama, e sentimenti che vengono fuori senza ipocrisie, senza falsi moralismi – così come spesso accade nella realtà.
Le donne, o meglio, il loro modo di gestire le passioni, di vivere l’amore è il vero protagonista dei suoi film. Le storie, con i loro complicati intrighi; con gli omicidi, sterili presi di per sé; con i travestimenti sessuali (reali e fittizi), per Almodóvar non sono altro che un mezzo per scaricare la sua sfrenata fantasia e per mostrare, senza forzature, ciò che si nasconde realmente dietro ogni gesto, ogni parola, ogni atto in apparenza “osceno”. Le donne si danno senza pudore, vengono maltrattate senza dignità, uccidono il proprio padre per possedere totalmente l’amore della propria madre, diventano il corpo in cui un uomo può rifugiarsi per ottenere l’affetto dell’uomo che amano e tutto ciò soltanto per sentire sulla propria pelle quei sentimenti nascosti nell’anima. Naturalmente, i toni sono estremizzati, così come i colori che Almodóvar utilizza, e a volte – solo a volte, e solo per qualcuno – sono insostenibili, ma lo sono per scuoterci dal torpore e dal grigiore che la moralità (spesso eccessiva e violenta anch’essa) ci impone. Così, l’eccesso si trasforma in una doccia gelata che ci sveglia, quasi da infartuati, dall’annebbiamento di una bella sbornia e sembra quasi suggerire che il soddisfacimento dell’anima, o dei sensi, è raggiungibile utilizzando ogni mezzo possibile a disposizione e, forse, per Almodóvar questo si traduce nella capacità e la voglia che, maggiormente le donne hanno, di vivere intensamente le loro passioni a discapito degli avvilenti e costrittivi stereotipi che esse stesse si sono cucite addosso, senza valutarne le conseguenze apportate dai tempi in continua evoluzione. Se andassimo a vedere un film di Almodóvar con la mente sgombra di pregiudizi e dei moralismi di cui siamo disgustosamente infarciti, così come dovrebbe essere ogni qualvolta entriamo nella sala prendiamo posto e seguiamo le prime immagini, vedremmo nei suoi film qualcosa di più del sangue, della violenza – peraltro trattata con estrema ironia – o del sesso sfrenato, perché tutto questo non è mai fine a se stesso … nei miei film voglio toccare corde profonde, anche scomode per chi guarda; … nel momento di selezionare scene e inquadrature, vorrei soltanto girare, vorrei scrivere, dirigere gli attori e girare. E ancora, Io temo di essere stato frainteso, soprattutto dal pubblico italiano, cui sono stato proposto in chiave trasgressiva. Ma la mia intenzione non è mai stata quella di trasgredire.
Ma trasgredire a che cosa? In base a quale assurdo principio si può, o si vuole, trasgredire? Più ci sforziamo di trasgredire, più restiamo “normali”; anzi rischiamo solo di cadere nel ridicolo. E poi, chi è in grado di spiegare cosa sia la “normalità”?
Quindi, visto che a quest’ultima domanda non ci potrà mai essere risposta soddisfacente, infiliamo cappotto e porta di casa e raggiungiamo il cinematografo più vicino (per chi ne ha soltanto uno in città dovrà aspettare parecchio e accontentarsi), controllando che in programmazione ci sia Carne tremula, e godiamoci le immagini lasciando a casa i pensieri “normali”, e anche un po’ di quell’inutilità che vuole a tutti i costi farci vedere in un film più di quel che c’è.
Marisa Barile
“[…] voglio raggiungere una perfetta verosimiglianza del racconto, non rappresentare la realtà così com’è […]”
Filmografia di Almodóvar
Folle… folle… folle Tim! (Folle… folle… fólleme Tim!, 1978), cortometraggio
Salomé (1978), cortometraggio
Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del mucchio (Pepi, Luci, Bom y otras chicas del montón, 1980)
Labirinto di passioni (Laberinto de pasiones, 1982)
L’indiscreto fascino del peccato (Entre tinieblas, 1983)
Che ho fatto io per meritare questo? (¿Qué he hecho yo para merecer esto?, 1984)
Matador (1986)
La legge del desiderio (La ley del deseo, 1987)
Donne sull’orlo di una crisi di nervi (Mujeres al borde de un ataque de nervios, 1988)
Légami! (¡Átame!, 1990)
Tacchi a spillo (Tacones lejanos, 1991)
Kika – Un corpo in prestito (Kika, 1993)
Il fiore del mio segreto (La flor de mi secreto, 1995)
Carne tremula (Carne trémula, 1997)
Tutto su mia madre (Todo sobre mi madre, 1999)
Parla con lei (Hable con ella, 2002)
La mala educación (2004)
Volver (2006)
Gli abbracci spezzati (Los abrazos rotos, 2009)
La pelle che abito (La piel que habito, 2011)
Gli amanti passeggeri (Los amantes pasajeros, 2013)
Julieta (2016)
E tu cosa ne pensi?