Se davvero Massimo avesse voluto bene a Paolo avrebbe fatto meglio a starsene zitto. Avrebbe potuto scrivere un giallo ambientato nelle brume sinistre del nord est che tanta mitologia del crimine ha creato. Avrebbe potuto scrivere di calcio (Hellas Verona), di disastri naturali e di politica (Hellas Verona). E invece Massimo è un narratore vero, di quelli cocciuti, di quei bastardi che appena vedono una lucina nel buio si appostano, pazientano e non mollano. Massimo è Massimo Cracco, scrittore veneto e Paolo è la vittima protagonista del suo ultimo libro, Senza uscito da qualche settimana per gli editori torinesi Autori riuniti.

Se davvero Massimo avesse voluto fare lo scrittore come tanti avrebbe fatto meglio a rispettare le regole della scrittura. A prendere un qualsiasi manuale di scrittura avrebbe letto chiaramente che ogni personaggio che si rispetti deve avere un obiettivo, uno scopo, un desiderio. Forse Massimo non legge manuali. Ma avrà certamente sentito parlare di Kurt Vonnegut. Nel terzo degli otto consigli per scrivere storie, inseriti nell’introduzione alla raccolta Bagombo Snuff Box, lo scrittore americano scrive: Ogni personaggio dovrebbe volere qualcosa, anche soltanto un bicchiere d’acqua.

E invece Paolo, il protagonista di Senza, non vuole. Non vuole essere, né vuole diventare e tantomeno vuole avere. Che storia è quella nella quale il protagonista non desidera altro che essere lasciato in pace? Basterebbe scrivere nella prima pagina una sola frase chiara e nello stesso tempo fatale, pronunciata dallo stesso protagonista: “No grazie, a posto così”, lasciando il resto delle pagine bianche ad uso dei lettori per prendere appunti, fare disegni o liste della spesa (di questi tempi la cancelleria va molto). E invece Massimo riesce ad intessere più di duecento pagine sull’autodifesa dall’intrusione del mondo.

Paolo non è solo, soprattutto da quando sono cominciati i tempi moderni.  Di personaggi che non vogliono se ne trovano parecchi. Bartleby che “avrebbe preferenza di no” (o vuole essere lasciato in pace) e Oskar Mazerath che si rifiuta di crescere (o vuole restare piccolo) fino alla recentissima protagonista di My Year of Rest and Relaxation di Otessa Mosfegh che talmente non vuole che preferisce cullarsi in un continuo stordimento chimico.

Non che avessi in mente di suicidarmi. Stavo facendo proprio il contrario. La mia ibernazione serviva a preservarmi… Pensavo che mi avrebbe salvato la vita.

Altroché Trainspotting. E se si riscrive un romanzo di formazione irrequieto come Gli anni dell’apprendistato di Wilhelm Meister questo si trasforma in un racconto teatrale di lunghe camminate silenziose intitolato Falso movimento. Sono tempi di resa. Paolo è un discendente degno di questa eredità di personaggi anarchici. E Massimo narratore spietato, violatore di regole di buon senso, ne intesse una storia implacabile, il racconto originale di una resa invincibile che si fa via via sempre più avvincente.

La via Crucis di Paolo è un falso movimento. Paolo non vuole. Non vuole essere coinvolto. Il suo non-volere, il suo stare fuori dalle cose del mondo si concretizza nel desiderare di perdere l’uso gambe, la paralisi indotta come gesto concreto di distacco. Non è un concetto filosofico, un’ipotesi, la sua è una vera propria strategia clinica che si ispira ad una donna che si è fatta recidere il midollo spinale per perdere volontariamente l’uso delle gambe. La disabilità come alibi per essere emarginata, lasciata fuori dalla contemporaneità.

Quello di Paolo è un lavoro duro perché la sua vicenda si dipana nella seconda metà del ventesimo secolo, un tempo polarizzato di ideologie resuscitate, di volontà ferree che generano certezze confuse e atti solenni, gravi e mortali. Paolo è circondato, fin troppo da vicino, da militanti che non solo vogliono, ma impongono, invadono, obbligano e determinano senza rimedio il destino degli altri. E Paolo, ventre molle della società schierata ne diventa vittima involontaria e indifesa. Ma non è un Ted Kaczinsky, al secolo Unabomber, che fa del suo rifiuto un gesto nichilista, una rivoluzione. Paolo non evolve, si incarnisce, alligna, sedimenta un rifiuto che diventa prassi nella vita quotidiana senza (quasi) mai interferire nelle vite degli altri. Ma l’esilio non funziona, anche quando è estremo:

(…) mi sono procurato nemici senza muovere un dito e questo è in sintesi la prova che avere un corpo collegato alla terra e già di per sé è una forma di contagio; scelgo l’amputazione piuttosto che la rescissione del midollo anche per questo, senza gambe non toccare più il suolo, interrompere il circuito simbolico di collegamento alla terra.

Quindi Paolo galleggia in vicende giudiziarie senza che, mai, nessuna sua decisione lo abbia reso complice o colpevole, quasi che fosse un destino ineluttabile l’essere coinvolti. E Massimo con questa ineluttabilità ci gioca.

Massimo è spietato in tutto, nelle parole, nella costruzione della frase, nel senso delle metafore e anche nell’ambientazione: quel nord-est estremo opulento e selvatico che ha cullato la rinascita neonazismo, l’invasione di piazza San Marco con i blindati, terra dell’unica mafia endemica del Nord e dell’emulo italico di Unabomber. Un territorio che ben si presta ad una certa distopia che mischia l’ipocrisia del benessere con gli estremismi più barbari come ha raccontato Tullio Avoledo in Furland. Ma a differenza dell’immaginazione sfrenata del Friuli che diventa un parco di divertimenti crudeli nella narrazione di Avoledo, Massimo non si distacca mai dalla realtà più netta e ritorna sempre a quel confronto con il corpo fisico il cui taglio dal mondo pare sia l’unica vera soluzione.

Nel periodo storico che ha consacrato gli hikikomori (si parla di centinaia di migliaia di autoreclusi in casa solo in Italia) il romanzo di Cracco può sembrare un manuale, una guida alla convivenza con coloro che rifiutano. Ma neppure Massimo vuole. Non vuole spiegare, non vuole definire. Il suo raccontare lucido procede attraverso una cronaca secca degli eventi che formano il protagonista alla sua ferrea volontà di non volere, di non far parte, di non stare né col torto, né con la ragione.

Livio Milanesio

La Formazione
Kurt Vonnegut, Bagombo Snuff Box
Herman Melville, Bartleby the scrivener
Günter Grass, Il Tamburo di latta
Otessa Mosfegh, My year of rest and relaxation
Irvine Welsh, Trainspotting
Wilhelm Goethe, Gli anni dell’apprendistato di Wilhelm Meister
Peter Handke, Falso Movimento
Tullio Avoledo, Furland
Massimo Cracco, Senza

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