
Numero 19 | Aprile 1999
Si sciolse la folta treccia
Sino alla vita,
Si aprirono i seni quasi monti,
Onde in mezzo al mare;
Luccicarono gli occhi castani,
Stelle nella notte,
Si protesero le mani bianche –
Così si stringerebbero
Attorno a un corpo. E affondarono
sul freddo guanciale,
Si irrigidirono, si pietrificarono,
Si separarono col pianto.
”Perché ho una bella treccia,
Occhi da colomba,
Un corpo flessuoso… se non ho
Uno sposo fedele,
Non ho nessuno da amare,
Nessuno cui aprire il mio cuore…
Cuore mio! cuore mio!
Arduo per te palpitare
Solitario. Con chi vivere,
Con chi, mondo infido,
Dimmi… Perché ho
La fama… la fama.
Voglio amare, vivere
Col cuore, non con la beltà!
Mi invidiano,
Superba e malvagia
Mi chiamano i maligni
Non sanno
Ciò che serbo in cuore…
Facciano pure,
Commettono peccato… Dio caro,
Perché non vuoi
Accorciare le notti
Buie, a me gravose!…
Di giorno non son sola –
Parlo col campo,
Parlando dimentico
Nel campo la mala sorte,
Ma di notte… ” – quindi tacque.
Scesero le lacrime…
Le bianche mani si protesero,
Si affondarono sul guanciale.
Sankt Peterburg, 18 maggio 1844
Taras Grigorovic Ševčenko nasce nel 1814 a Morynec, nei pressi di Kyïv, in una famiglia di servi della gleba. Rimasto orfano all’età di nove anni, diventa lui stesso un servo. Intanto coltiva la passione per il disegno.
Nel 1831 il giovinetto segue il suo padrone a Pietroburgo. Qui avviene il fatto che cambierà la sua vita: viene notato da un gruppo di illustri artisti e scrittori (Brjullov, Venecianov, Zukovskij), che nel 1838 riescono a riscattarlo dalla servitù.
A Pietroburgo frequenta l’Accademia delle Belle Arti, che termina nel 1845. Diventa un pittore rinomato, si specializza nell’incisione e nell’acquaforte. Tra i quadri più famosi, spicca “Kateryna”, ritratto dell’eroina del poema omonimo. Il soggiorno nella capitale russa è fecondo anche nel campo letterario: egli infatti rivela doti di poeta.
Torna quindi a Kyïv, dove trova impiego presso la Commissione Archeografica. Partecipa attivamente alla società Cirillo-metodiana, gruppo politico segreto, che lotta per l’unione dei popoli slavi. Per questa attività nel 1847 viene arrestato ed esiliato in Siberia: prima a Orenburg, poi nella fortezza di Orsk. Grazie agli amici pietroburghesi, nel 1857 ottiene il permesso di lasciare l’esilio. Soggiorna a Niznij Novgorod sul Volga. Nel 1859 può finalmente tornare in Ucraina. Muore nel marzo 1861 a Pietroburgo. In aprile le sue ceneri vengono trasportate in Ucraina, a Kaniv sul Dniprò.
Le opere giovanili di Ševčenko (1837-43) hanno un chiaro carattere romantico. Il poeta esordisce con un genere tradizionale: la ballata, ben rappresentata da “Prycynna” [La dissennata], la prima opera che egli riesce a pubblicare. Il tema della fanciulla disperata per la separazione dall’amato, rientra nel romanticismo. Si pensi alla “Lenore” di Bürger tradotta in russo da Zukovskij. Si avverte però la forza dell’individualità artistica di Ševčenko. Il poeta ucraino descrive l’eroina quasi fosse uno psichiatra: è una descrizione precisa del sonnambulismo, di quella malattia psichica, in cui trapassano a volte le emozioni tristi di nature troppo sensibili… Il profondo psicologismo di questa ballata trae la sua origine dalla eccezionale capacità d’osservazione dell’autore, dotato di un indubitabile dono: la capacità di penetrare nell’animo altrui. Alla base dell’opera vi sono motivi del folclore: la zingara-maga, che con i suoi incantesimi rende una fanciulla “dissennata”; la rusalka, mitica creatura delle acque, che appare di notte, tutta nuda, per fare il solletico alle persone che incontra.
Tipica del romanticismo è l’unione di uomo e natura. Questa è partecipe del dolore umano. Si compie la tragedia dei due innamorati e scoppia la tempesta: si sollevano le onde sul Dniprò, si inarcano gli alberi, la luna si nasconde tra le nubi.
L’opera di questo uomo geniale, che da umile servo della gleba arriva alla dignità di poeta nazionale, segna una rinascita letteraria e culturale per tutto il suo popolo.
«Quanto a bellezza e forza della poesia, molti pongono Ševčenko allo stesso livello di Pŭskin e Mickiewicz. Noi andiamo avanti: Ševčenko riluce della bellezza della poesia popolare, di cui brillano solo scintille in Pŭskin e in Mickiewicz» – così scrive sulla rivista “Vremja” [Il tempo] il critico russo A. Grigor’ev alla morte del genio ucraino.
Paolo Galvagni
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