Da quando sei arrivata ci ho pensato spesso, ho immaginato, fantasticato, disegnato ipotesi sul nostro rapporto, ho costruito case in riva al mare, pupazzi di neve tra le montagne più selvagge, ho scritto canzoni che potessero raccontare di noi, ma mai ho sentito l’atroce sofferenza che avverto ora, adesso che ti travolge, irrefrenabile, un’adolescenza acerba. Si è lacerato il mondo, si è frantumato il sogno, si è annebbiato il senso di vivere. Perché? Cosa ti spinge con rabbia ad allontanarmi?”
Madre.

Non mi pressare, mi tormenti con le tue domande. Secondo te, posso trovare io la soluzione alle tue angosce? Mi soffochi!”

Figlia.

Le voci sono quelle di un tempo sospeso nel quale una mamma e una figlia comunicano in forma epistolare. Nel romanzo d’esordio Tempo sospeso di Rosaria Famiglietti, docente di lettere e scrittrice, pubblicato da Gesualdo Edizioni, si affrontano scelte sofferte, prospettive diverse, momenti di vita cruciali, le cose della vita in un universo femminile a mezzo di un insolito diario che registra gli slanci emotivi e la voglia implicita per ognuna delle due di essere compresa, in fondo accettata.
Una vita che si riformula in base a scelte personali che coinvolgono l’altro. Il copione unico che si declina sovente nelle parti di chi lascia, chi viene lasciato, chi subisce le decisioni adulte e per questo si trova costretto a ridisegnare i propri passi su una scenografia fluida, che sull’altro si plasma e si trasforma.


Non ero abituata a quel frastuono, al vocìo continuo che invadeva le strade, ai rumori disordinati dei motorini, ai clacson assordanti, eppure aveva scelto di vivere in quella città. La casa, però, quella sì che l’aveva scelta lei, aveva dovuto penare, ma dopo faticose ricerche l’aveva finalmente trovata; splendida, luminosa, accogliente.”


In questo romanzo, come ci racconta la prefazione a cura di Mariella La Rosa, la parola “graffia, scava, lacera e scarnifica”. Racconta lo scarto generazionale di un viaggio in cui due anime si confessano nella relazione che più di tutte indirizza scelte e modella la fisionomia della propria identità emotiva: quello tra una madre e una figlia. Conflittuale e salvifico.


“Mamma, corri, vieni!”

“Cosa succede?”

“Dai, sbrigati. Sono in bagno.”

“Ma perché piangi, ti sei fatta male? Cos’hai?”

“Guarda”.”

“Amore, stai tranquilla, è tutto naturale, non devi preoccuparti, benvenuta nel mondo delle donne.”

I corpi in questo romanzo sottraggono la loro fisicità, diventano quasi evanescenti, le voci in prima o in terza persona prendono forma e si dilatano, ora si assottigliano, urlano e sussurrano. Dovesse essere una pièce teatrale al recitato degli attori che calcano il palcoscenico, sarebbe naturale affiancare momenti al buio di sole voci. Quelle dicono tutto, in quelle ognuno si ritrova e immagina.

Queste pagine sono un dialogo sospeso nel tempo, stracciato e poi ritrovato. Un tempo che si riflette nello specchio di identità che si sommano, arrivando ad essere una unica.


Arriva un momento della vita in cui sei costretto a fare i conti con te stesso, con il magma esistenziale che ti compone e che ti spinge per essere riconosciuto, per avere una forma, un nome, un volto. Troppo tempo represso, troppo tempo rinnegato, troppo tempo ignorato. Ma la natura non sente ragioni e, quando ritiene, esplode in tutta la sua forza e con tutta la sua rabbia.

Donna, madre, moglie, figlia, quanti ruoli, quante maschere, quanti inganni con te stessa.”

Questo libro è un pugno e una carezza, sono lacrime e accoglienza, intima speranza.

“In questo cammino doloroso ho scoperto un qualcosa un qualcosa che mi manca tanto, che ho smarrito non so dove, né quando, ma che vorrei ritrovare con te, cerchiamolo insieme, ricominciamo a sorridere e ad essere leggere: inventiamoci un motivo per ridere insieme. Sempre”.

Angela Vecchione