Rapinatori che parlano come laureati e poliziotti che ascoltano Ghali, Blanco e Ligabue. Luoghi conosciuti che nascondono volti misteriosi ed enigmatiche periferie che svelano la loro vera natura.

All’ombra della Mole, Maurizio Blini fa vivere un eclettico insieme di personaggi che accompagnano il lettore negli oscuri meandri dell’organizzazione di una rapina e nelle complicate operazioni di un’indagine di polizia. Come mondi paralleli le storie di due gruppi procedono senza apparentemente incontrarsi, finché tutto non acquista senso.

La forza del romanzo Anatomia di una rapina sta proprio nell’analizzare i meccanismi psicologici, sociali e relazionali che si attivano in entrambe le fazioni. Il lettore ha così l’opportunità di immergersi sia nelle azioni dei poliziotti che in quelle dei rapinatori, impegnati a pianificare la rapina perfetta, un’impresa ambiziosa e apparentemente impossibile. E non rischia di idealizzare né i primi né i secondi, di dividere tra buoni e cattivi, di polarizzare il suo giudizio morale.

I rapinatori sono un gruppo di ragazzi torinesi, amici fin dall’infanzia, professionisti del loro campo ma sgangherati, con un passato in carcere e un presente difficile da gestire. Sono molto lontani dall’aura geniale che a volte ammanta i racconti di rapinatori, da Ocean’s Eleven in avanti. Un quartetto raffazzonato, capeggiato da una mente, Mirko, che fa la parte del Professore nella Casa de Papel, ma in versione sabauda. Attento, silenzioso, un po’ provinciale e un po’ cittadino, come il capoluogo piemontese. Controlla tutti i membri della sua banda senza farsi vedere, sempre discreto, sempre assertivo. C’è Walter, per gli amici il Bomba, il mago delle serrature, c’è Fabio, che sa trovare tutte le armi ma non riesce a uscire dal giro dello spaccio, e c’è Salvo, il dongiovanni incallito e wannabe, che sogna un futuro da imprenditore in un paese tropicale.

I poliziotti, d’altro canto, coordinati dal dirigente della Squadra Mobile della questura di Torino, Silvano Stelvio, sono ben lontani dai difensori della giustizia senza macchia e senza paura, nel cui stereotipo potrebbero facilmente cadere. Al contrario, fanno i conti con dinamiche urbane che non riescono a capire e indagini che non riescono a risolvere. Si muovono in strade che non gli appartengono, sentono la città cambiare e sfuggire dal loro controllo. E si lasciano andare alla frustrazione, alla fatica, ai luoghi comuni. A raccontarli, nei capitoli scritti in prima persona, è il più grande degli Stelvio, Moreno, ex dirigente della Mobile in pensione. Anche i due fratelli hanno i loro problemi: un divorzio e una vedovanza alle spalle, l’ombra di un padre all’antica che non ha mai appoggiato la loro scelta di non continuare l’avvocatizia tradizione familiare, l’età che avanza insieme alla disillusione e alla solitudine. Un’analisi psicologia approfondita, che non teme le ombre e le zone grigie che colorano chiunque.

Questo coro di personaggi si muove in luoghi che per noi astigiani sono familiari e conosciuti, ma vengono scoperti in modi nuovi. Una città profondamente cambiata negli ultimi decenni e ulteriormente modificata dagli anni della pandemia, che l’autore non finge di dimenticare. Le periferie di Torino, i quartieri popolari con la loro rabbia, la criminalità e la voglia di rivalsa, e quelli più centrali, con l’eleganza pettinata dei salotti sabaudi. Dalle Vallette a via Po, da Aurora a Crocetta, da Falchera al Lingotto e a piazza Castello, fino a via Sospello, dove due agenti della Mobile vengono uccisi durante un controllo a un furgone sospetto.

L’obiettivo della rapina è proprio l’8 Gallery, il centro commerciale del Lingotto, nella cui banca semi-camuffata confluiscono i proventi del supermercato, del cinema, dell’albergo in cui alloggiano i giocatori della Juventus, di più di cento negozi e venti ristoranti. E sotto il quale si snoda un mondo di sotterraneo fatto di cantieri, ex stabilimenti Fiat, nuovi poli ospedalieri e tunnel della metropolitana. Tre livelli sotterranei pieni di lavoratori e di uscite di sicurezza, perfetti per una fuga coi fiocchi. O almeno così pensa il profesùr.

Elena Fassio