Anno 1 | Numero 6 | Marzo 1998

Il Giappone, terra di grandi contrasti, paese lontano, avvolto nell’aura di mistero che tutte le società millenarie respirano. Un paese ancora per molti lontano, una terra fatta di samurai, di riti religiosi e meditazione ma anche di supertecnologie digitali, di manga e pesce crudo. Luogo di fantasie, di mistero, dove il tempo sembra essersi spaccato, dove tutto è ordine, rigore, colore. Lo stile, la forma fanno dei gesti di questa terra lontana lunghe pantomime teatrali. Paese affascinante e sorprendente dove ogni pietra riesce a trasferire emozioni comunicando strane sensazioni, dove l’idea e la forma si fondono nella scrittura ideogrammatica, sintesi estrema di tratto grafico, estetica e senso. Se il tempo della vita e rapido, frenetico, quasi istantaneo, quello della meditazione, della preghiera qui diviene rilassato, esteso rarefatto. Quello religioso è per i giapponesi un tempo tra parentesi, sospeso in un limbo immaginifico. Tempo che si materializza nella sua estrema fluidità lenta entrando in un tempio buddista o semplicemente fermandosi a guarda e l’estrema geometria dell’ordine che solo un giardino Zen riesce a dare. Regno di colori, di sete e decorazioni, ma anche di vita pulsante dove il teatro, palcoscenico dell’esistere, è da sempre una delle più alte arti espressive.

In questo scenario variopinto anche l’arte del movimento, del tempo, dei luoghi e della vita, il cinema, è riuscito a dare una prova di sé.

Molto del cinema giapponese è quasi del tutto sconosciuto in occidente, perle di estrema linearità stilistica, film dal forte impatto visivo, ma anche storie di terrene sofferenze, di lotte, battaglie, amori. Un cinema fatto di principi forti, di valori radicati, di uomini più che di donne, di guerrieri senza armatura che si scontrano con secoli di storia ed un mondo ormai diverso. “Penso che un bel film deve avere qualità misteriosa che è la bellezza cinematografica, un misto di perfezione e di emozione profonda che spinge la gente ad andare al cinema e la tiene inchiodata alla sedia”. Queste le parole di uno tra i grandi registi giapponesi Akira Kurosawa, autore di un cinema che ha lottato a ‘lungo con la censura, ma che è riuscito a darci una ventata d’oriente forte e resistente. Con lui il “grande maestro” Ozu che del suo rigore serio, mai ossessivo né inutilmente spartano è riuscito a farne cinema, sequenze in movimento che difficilmente dimenticheremo. Se del rigore Ozu è stato uno dei cantori più alti dell’esasperazione, della rottura, del furore estetico/visivo Oshima è senz’ombra di dubbio il sommo maestro. Con loro molti altri “inventori di sogni”, creatori di ombre in movimento, hanno fatto del cinema del Giappone un’arte a sé, un’espressione del fluire temporale, della ‘vita e della morte, unica.

Da Mizoguchi a Kitano passando per Tsukamoto molti i registi che hanno scritto e scrivono tutt’ora pagine indelebili nel grande libro della storia del cinema.

Presenti a quasi tutti i festival internazionali, sempre vincitori di premi, apprezzati dalla critica, forse troppo ignorati dal pubblico, i film ciel Giappone sono vere perle di conoscenza, prodotti di uomini che comunicano per immagini, attraverso complessi e stilisticamente elaborati sogni/visioni, cultura, tradizioni, storia, impegno, in una parola: vita.

Alfredo Iannone

 

FILMOGRAFIA ESSENZIALE

Viaggio a Tokyo Tokyo Monogatari, di Yasujiro Ozu, Giappone, 1953

I sette samurai Shichinin no samurai, di Akira Kurosawa, Giappone, 1954

Dersu Uzala, il piccolo uomo della grande pianura Dersu Uzala, di Akira Kurosawa, Giappone, 1975

Ecco l’impero dei sensi Ai no Korida, di Nagisa Oshima, Giappone/Francia, 1976

Kagemusha id., di Akira Kurosawa, Giappone, 1980

Furyo Senjo No Merry Christmas, di Nagisa Oshima, Giappone/GB/Nuova Zelanda, 1988

Tetsuo Tetsuo: The lron Man, di Shinya Tsukamoto, Giappone, 1989

Sogni Koona yume wo mita, di Akira Kurosawa, Giappone, 1990

Sonatine id., di Takeshi Kitano, Giappone, 1993

Hana Bi id., di Takeshi Kitano, Giappone, 1997