Giallo Van Gogh (pubblicato in Italia da L’asino d’oro, ndt) ripercorre la storia degli ultimi due anni della vita di Vincent Van Gogh, concentrandosi soprattutto sulla sua morte.
Ispirato alle scoperte degli storici Steven Naifeh e Gregory White Smith, il romanzo ipotizza che Van Gogh non avrebbe tentato il suicidio, come si crede comunemente, ma sarebbe stato ucciso per caso.
Ma prima di parlare della storia, è importante cercare di capire che tipo di libro sia.
È un romanzo, un’inchiesta, un romanzo storico, eppure sembra di leggere un diario, anche se ovviamente non lo è.
Questa sensazione di intimità deriva probabilmente dalla profondità dello sguardo sul protagonista: Vincent Van Gogh.
In questo libro dimentichiamo che Van Gogh è Van Gogh, il grande pittore.
È la storia di un uomo, un uomo sensibile, ingenuo, un uomo che soffre, che non trova il suo posto nel mondo, che solo la natura sembra riuscire a confortarlo. Le persone, a eccezione del fratello Teo, non lo capiscono, lo mettono in ridicolo, non lo prendono sul serio.
In strada, quando passa, viene chiamato il matto.
Nella prima parte del libro, Vincent è ad Arles. Ha rinnovato una casa, che sarà la Casa Gialla, per dare il benvenuto a Paul Gauguin e farne uno studio per artisti.
Vincent è entusiasta della Provenza, qui tutto è un’ispirazione: natura, persone, oggetti della vita quotidiana.
Il pittore è impaziente per l’arrivo del suo amico, è convinto che lavoreranno insieme, che saranno complici, che condivideranno la loro idea di arte.
Ma dall’arrivo di Gauguin, il loro rapporto va in frantumi.
Gauguin si sente in trappola, non gli piace Provenza, la sua mentalità ristretta, la Casa Gialla gli sembra squallida, ma la cosa che più non sopport Gauguin è Vincent, che non stima più come pittore.
Come poteva sperare che quest’uomo lo considerasse un giorno come suo amico?… Paul cercava solo una cosa: dimostrargli che era il migliore, tecnicamente ma anche artisticamente.
Il deteriorarsi del rapporto tra Van Gogh e Gauguin è uno dei momenti più toccanti del libro. Marianne Jeaglé ha magistralmente reso il punto di vista di entrambi gli uomini, la delusione di uno e la sofferenza dell’altro. L’umanità del rapporto di amicizia descritto è sorprendente.
Da quel momento in poi, la salute fisica del pittore comincia a vacillare fino a quando viene ricoverato nella casa dei pazzi di Saint-Rémy.
Non andremo oltre nella storia del libro per non rovinare il piacere della lettura.
Ciò che è notevole in questo libro è l’empatia dell’autrice nei confronti del suo protagonista. Van Gogh non è rappresentato come un modello, Van Gogh è quasi un antieroe, debole, sensibile, insoddisfatto.
E probabilmente questo è esattamente ciò Marianne Jaeglé ha voluto evidenziare, perché essere un artista non è esporre al Salone di Parigi, collezionare articoli su Mercure, avere una villa sulla rive del fiume Oise, andare in barca e ricevere amici a cui raccontare i propri successi. Essere un artista è cercare sempre e non essere soddisfatto mai.
Gessica Franco Carlevero
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