Il Castello è una delle opere maggiormente significative e rappresentative dell’opera di Kafka; si tratta di un libro particolare, cui ci si può accostare, fondamentalmente, attraverso due differenti approcci. Il primo atteggiamento è probabilmente il più immediato, e in un certo qual modo il più legittimo, e consiste nel lasciarsi coinvolgere dal gioco multiforme delle possibili interpretazioni. L’intera struttura narrativa acquista così una valenza simbolica, dietro i vari personaggi si celano i fantasmi inconsci della sofferente mente dell’autore, il racconto può essere riletto di volta in volta in chiave politica, esistenziale o essere spiegato Vangelo alla mano.
Questo atteggiamento critico è pervaso da un fascino irresistibile, ma non può fare a meno di lasciarci con un senso d’insoddisfazione e di dubbio. Ed è conseguenza naturale, giacché quella chiave di lettura, causa dell’affanno e della gioia di critici e lettori, probabilmente non esiste.
Il secondo atteggiamento è apparentemente meno critico, più passivo, e consiste nel lasciare che l’anima stessa dell’autore, trasudante dalle bianche pagine, arrivi a noi in una sensazione addirittura fisica, quasi che la sua penna, intrisa nel suo stesso sangue, incida sui nostri polmoni la sua terribile angoscia. Ma ecco che questo secondo atteggiamento altro non è che il primo risvolto verso una più matura consapevolezza; già, perché dal gioco delle interpretazioni non si può fuggire, e pur consci dell’assenza di una vera risposta, non si può fare a meno di cercarla. Forse il segreto della meravigliosa opera kafkiana è proprio questo, il riproporre, attraverso un racconto, non un «messaggio», non una «morale», ma una «sensazione», un’inquietudine, quella della vita stessa, consumata nella continua e inevitabile ricerca di una risposta che non può essere trovata, ma non per questo svilisce la ricerca, e anzi le dona una sottile e terribile venatura d’angoscia e incertezza. Ne Il Castello di Kafka si riflette come in uno specchio d’acqua, attraverso le vicende di un agrimensore, J.K., capitato in un nebuloso villaggio per poter svolgere le sue mansioni, ma ostacolato da un’impalpabile e «presentissima» burocrazia, quello che, spesso inconsciamente, è la nostra vita di tutti i giorni.
Dario Scognamiglio
«Era sera tarda, quando K arrivò. Il paese era sprofondato nella neve. Il colle non si vedeva, nebbia e tenebre lo circondavano, non il più debole chiarore rivelava il grande castello. K sostò a lungo sul ponte di legno che dalla strada maestra conduceva al paese e guardò su nel vuoto apparente.»
In libreria
Franz Kafka
Il Castello
Feltrinelli, 2015
Collana: Universale Economica. I classici
A cura di U. Gandini
386 p., brossura
€ 9,00
E tu cosa ne pensi?