Guy Montag brucia i libri perché i libri sono sovversivi. Così racconta un trentenne Ray Bradbury nel romanzo breve The Fireman pubblicato nel febbraio del 1951 sulla rivista Galaxy Science Fiction. I libri, nel futuro distopico nel quale è ambientato il romanzo, sono considerati oggetti sovversivi per la loro capacità di rivelare la vera natura delle cose.
“Capite ora perché i libri sono odiati e temuti? Perché rivelano i pori sulla faccia della vita. La gente comoda vuole soltanto facce di luna piena, di cera, facce senza pori, senza peli, inespressive.”
Il racconto che sarebbe poi diventato Fahrenheit 451 era talmente profetico che nel XXI la sua profezia ha assunto un significato del tutto nuovo e imprevedibile. I libri sono oggetti ancora più sovversivi di quanto Bradbury osò immaginare, non perché rivelano qualcosa, ma per la loro capacità di nascondere.
L’esperienza libro, come la conosciamo oggi nel mondo occidentale nasce circa cinquecento anni fa da tre eventi. Nel 1455 il tipografo, nativo di Magonza, Johannes Gutenberg introduce in Europa la tecnica cinese dei caratteri mobili. I libri possono essere composti e stampati più rapidamente aumentando sensibilmente la tiratura. Passano meno di una cinquantina di anni e l’opera di Aldo Manuzio, laziale ma attivo a Venezia, fa nascere l’idea dell’editore moderno con edizioni ben curate e nello stesso tempo economiche, anticipando l’idea dei tascabili. Il libro smette definitivamente di essere solo un oggetto prezioso ed entra nella vita quotidiana di una popolazione via via più ampia. Il terzo evento vede la luce dopo un’altra ventina di anni quando il riformatore Martin Lutero traduce la Bibbia nella lingua del popolo per “disintermediare” il rapporto con Dio. Si accresce, nei paesi di lingua tedesca, il bisogno di leggere e quindi di possedere almeno un libro (la Bibbia): nelle case della gente “normale” cominciano ad entrare i libri a buon prezzo, con tirature importanti. Ecco combinati, in meno di novanta anni, i tre eventi di un delitto perfetto: il Mezzo (Gutenberg), l’Opportunità (Manuzio), il Movente (Lutero). Nel corso della storia i libri sopravvivono a roghi, indici e proibizioni, censure e fallimenti economici e sono arrivati al XXI secolo senza modificare l’esperienza. Il mezzo è sempre lo stesso: copertina, numero di pagina, lettura sequenziale, carta rilegata.
Nelle scuole, di questa triade di rivoluzionari della comunicazione, viene ricordato solo il mezzo, Gutenberg (Lutero viene ricordato soprattutto per ragioni legate alla Riforma protestante). E non è un caso perché ai giorni nostri il libro è sovversivo come mezzo di comunicazione, prima ancora del contenuto che trasporta.
Se si dice che Amazon sia la più grande libreria del mondo, si dice solo una mezza verità. Amazon (come molte altre realtà digitali simili) è prima di tutto un “luogo” pieno di stimoli per spingere a rivelare bisogni e desideri. Su Amazon si cerca, si raccolgono prodotti nella lista dei desideri, si valutano e si condividono offerte, si effettuano e cancellano ordini, si ricevono suggerimenti (che si possono accettare o rifiutare). Nascosto dietro a servizi e opportunità c’è un complesso sistema di ascolto che raccoglie dati sulla navigazione degli utenti per costruire profili sempre più precisi e raffinati, al quale corrisponde un sistema per proporre agli utenti idee di acquisto sempre più precise, tali da poter soddisfare e spesso anticipare bisogni e desideri. Avete già vissuto quella sensazione vagamente distopica di parlare con qualcuno di un viaggio, un frullatore, un libro e ritrovarvi un banner con un’offerta proprio su quel viaggio, quel frullatore, quel libro?
Lo studioso di Princeton Tim Wu definisce entità come Amazon “Attention Merchant” che, nelle sue parole, suona come: An attention merchant is anyone whose business is attracting human attention for resale for profit. I libri, come gli altri prodotti su Amazon, non sono il vero business. Essi servono a stimolare la nostra voglia di interagire per rivelare preferenze, desideri, bisogni affinché Amazon stessa o un altro fornitore ci presenti presenti prodotti sempre più desiderabili. Un processo di conoscenza che permette ai venditori di non aspettare più il cliente per soddisfarlo con il miglior servizio, ma permette di andarlo a stanare con offerte sempre più irresistibili. Di un utente profilato da un numero sufficiente di interazioni si può persino essere in grado di prevedere desideri futuri con una buona precisione. O almeno questa è la mission degli attention merchant.
Finché le attività di un utente rimangono su piattaforme digitali le sue attività possono essere “ascoltate” e possono andare a nutrire un profilo unico. Non è un caso che da anni si stia verificando una concentrazione, a suon di milioni di dollari, delle piattaforme digitali. Facebook acquista Instagram e WhatsApp non per indebolire la concorrenza ma per poter “seguire” gli utenti nelle migrazioni di piattaforma in piattaforma. La raccolta dati utente può essere utilizzata non solo per scopi commerciali, ma come ha dimostrato il caso Cambridge Analytica anche per influenzare il libero esercizio dei diritti da parte dei cittadini.
E il libro? L’ottuso mucchietto di fogli di carta rilegati, non collegabile con niente, non misurabile, non “ascoltabile” è il punto debole di questo, a volte perverso, scambio di contenuti per informazioni personali. Nel momento in cui il pacco arriva a casa del rapporto tra noi e il contenuto del libro si perde ogni traccia. Come con i pizzini di Bernardo Provenzano il digitale non vi può entrare, il pensiero non può essere intercettato. Se ho comprato il Mein Kampf, la biografia di Che Guevara, il libri di Papa Francesco non c’è verso che un sistema digitale venga a sapere che cosa ne ho fatto. A meno che non glielo dica io. Amazon, ad esempio mi permette di scrivere recensioni dei libri che ho letto. O addirittura rivendere i libri che ho acquistato. Ma è ben poca cosa se io mi siedo sugli scogli della riviera a leggere a riflettere ad annotare le idee che questi libri mi suscitano. Il sistema si inceppa nella falla che si frappone quando la mia attenzione passa su questo strumento bruto.
Se fosse un ebook la questione sarebbe diversa. Amazon sa che li ho comprati, quante pagine ne ho lette, conosce le mie annotazioni (che stanno su un suo server) e, visto che quei libri, malgrado io li abbia pagati, non mi appartengono Amazon potrebbe anche decidere di privarmene. Ma perché dovrebbe farlo? Perché bruciare i libri elettronici se con essi può tenermi d’occhio? E non posso neanche prestare il mio ebook perché in questo modo costringo un nuovo utente ad affacciarsi al sistema.
Infine Amazon inverte quello che era stato il tradizionale movimento della cultura verso il mercato (i negozi Feltrinelli, per fare un esempio che partono da un editore per creare una catena di negozi). Con Amazon il retail si appropria di ogni mezzo per la diffusione delle idee e diventa editore: produce serie televisive e pubblica libri (con Amazon Publishing). Questo editore usa i dati che raccoglie per definire la sua linea editoriale sulla base delle preferenze degli utenti? Nessuno lo ammette ma è più che credibile.
Ma non bisogna esagerare con complottismi e scenari distopici ma il mondo digitale, la sua interconnessione, la capacità di trasformare azioni in dati e i dati in profili ha possibilità che non si stanno sfruttando a pieno. Neanche Ray Bradbury era riuscito ad immaginare tanto.
E un bel libro, di carta (meglio se carta riciclata) è ancora un mezzo di crescita sfuggente, disconnesso, misterioso. Il libro circola liberamente, può essere regalato e imprestato, può essere rivenduto attraverso il circuito di bouquiniste senza lasciare tracce se non nella testa dei suoi lettori.
Livio Milanesio
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