La custodia dei cieli profondi di Raffaele Riba è una storia di fratellanza e di cura. Cura anche dei particolari, perché si capisce che c’è dietro un ricercato progetto, oltre che nelle scelte stilistiche e narrative, anche grafiche e di impaginazione. Lo si capisce già dalla copertina che riporta un’illustrazione tratta dalle Lectures on astronomical theories di John Harris, direttamente dall’archivio della British Library. Poi si apre il libro e si scopre che è stato stampato in caratteri grafici di colore blu, una scelta sicuramente azzeccata.
La narrativa che, in certi passaggi quasi lirici, ricorda la poesia e poi, nell’articolazione, esposizione e sviluppo dei concetti scientifici, sembra quasi farsi trattato, schiude una storia del tutto originale, eppure così semplice e quasi banale. Perché, come diceva Carver, “gli scrittori non hanno bisogno di ricorrere a trucchetti e trovatine […] A costo di sembrare sciocco, uno scrittore a volte deve essere capace di rimanere a bocca aperta davanti a qualcosa…”. Anche noi lettori rimaniamo un po’ a bocca aperta davanti alle vicende di Cascina Odessa, l’universo piccolissimo in cui affondano le radici della storia di questa fratellanza.
Lo spazio è una casa, anzi una cascina, Cascina Odessa, e si trova a Lurano, nell’entroterra piemontese: “un santo sistema chiuso […] nelle burocrazie quotidiane, in piccolezze disperatamente inutili agli occhi del cosmo”. Gabriele ne è il Custode. In questo piccolo pezzo di mondo, in questa casa così unica e speciale, in questa casa che “è pelle […] è cognizione”, si svolge tutta la storia individuale del protagonista e della sua dispersa famiglia. Ma alle vicende che avvengono in questa casa è legata anche l’altra storia: la storia di ciò che avviene in cielo, più lontano, “in spazi siderali che non abbiamo orecchie per ascoltare”.
Costruita con pietre millenarie, sopra i resti del cane del nonno di Gabriele, Odessa, da cui prende il nome, protetta da una diga che impedisce il deflusso del Roburent, circondata da staccionate, ombreggiata da alberi da frutto, Cascina Odessa è destinata ad un’inesorabile disfacimento, proprio come al disfacimento è destinato l’universo intero del protagonista. A Cascina Odessa si è compiuta l’infanzia di due fratelli, Gabriele ed Emanuele. Lì è il baricentro intorno a cui ruota la loro vicenda umana, il posto “sopra cui” il protagonista vive. Così terrena e così mortale. Non appena passa l’infanzia, non appena subentra l’abbandono- prima del padre, poi della madre- non appena anche Emanuele se ne va e “la piccola eppur pertinace nervatura attraverso la quale, in qualche recesso del nostro spazio eravamo un’intenzione sola” si spezza – racconta il protagonista – ecco che inesorabile inizia la fine di Cascina Odessa e di questi legami, di tutto questo pezzo di mondo che Gabriele aveva così ben custodito: “Capita così quando si cresce […] Ci si deve confrontare con l’astratto senza poterlo trovare tra le cose”.
E a ben vedere sono proprio le cose che pensava di sapere da sempre e per sempre, che non riesce più a riconoscere, cambia infatti la luce con cui le aveva sempre viste. Appare improvvisamente un sole blu in alto nel cielo, proprio quando quello giallo sta per tramontare. Non appena in famiglia si consumano numerosi addii, le mura umide cominciano a crollare, la polvere si accumula, la muffa si espande. Le tragiche separazioni provocano come un cataclisma sulla casa e sull’uomo Gabriele, uno sconvolgimento dell’ordine cosmico. I due soli ora si alternano e si fronteggiano, come il bene e il male.
È qualcosa che sembra impossibile, l’avere due soli, ma in realtà è già successo, ancora e ancor nell’universo: si tratta della luce generata dall’esplosione di una supernova, fenomeno drammatico e spettacolare, come drammatica è la conclusione del legame di fratellanza tra Gabriele ed Emanuele. Anche questo è già successo, chissà in quante famiglie, chissà quante migliaia di volte su questo pezzo di Terra. Ed entrambe queste esplosioni, hanno a che fare con lo sfaldamento, ma anche con “l’asfissiante resistenza al declino”. Tutto il libro funziona così, proprio come la nostra vita, un gioco di contrapposizioni.
Leggere questo romanzo, pubblicato da 66thand2nd, è come fare un viaggio spaziale, insieme al protagonista, intorno a un microcosmo, Cascina Odessa, ma anche intorno a un baricentro di proporzioni vastissime, composto di tutti i miseri eventi umani che avvengono su un pianeta ai margini della Via lattea e che sono, allo stesso tempo, strettamente interconnessi con il mistero di quanto avviene nell’immensità del cielo sopra di noi, in un cosmo infinito, dove il tempo si conta in milioni di anni luce. Mi pare che tutto libro sia una lunga metafora: le prosaiche vicende umane quotidiane altro non sono che una mescola di “detriti di stelle, raggi gamma, polvere del cosmo”, destinate a dissolversi, lentamente, ma inesorabilmente.
E quello che rimane, alla fine del libro – che più che una conclusione è un nuovo inizio – sono i legami forti e le persone che li curano, “uniche resistenze di cui il mondo dispone contro la dispersione”.

Antonia Frascione