Alo Melograno è un romanzo d’avventura. L’ho scritto con l’unico scopo di intrattenere il lettore, divertirlo. Se ho un’aspirazione, e ce l’ho, è riuscire a regalate, qua e là, almeno un attimo di stupore. Sono ambizioso. Credo, infatti, che intrattenere e magari stupire dovrebbero essere considerate le massime ambizioni di un narratore. Se poi, per caso, tra le righe qualcuno riuscisse a cogliere un senso che vada al di là delle parole, tanto meglio. Qualche volta c’è, o piuttosto vorrebbe esserci, più spesso no. Per un semplice motivo: dentro ogni avventura che si rispetti, le azioni dei personaggi hanno un senso nel loro compiersi; i loro pensieri, quello che dicono, possono essere presi a prestito, storpiati, interpretati nel modo che il lettore ritiene più opportuno. Come per la musica, tutta, fino alle canzoncine da ombrellone. Conta il momento, lo stato d’animo di chi ascolta, non quello di chi compone. Nel momento in cui assumono le sembianze di una storia, una melodia, le parole come le note sfuggono al controllo di chi le ha scritte, e per farlo, si travestono di altri significati. Se va bene, restano i diritti d’autore e l’appagamento di un’ambizione, che non è male.
Quand’ero un mediocre alunno delle scuole dell’obbligo, passavo i miei pomeriggi di studio sfrecciando negli spazi siderali sulla tavola di Silver Surfer, in armonia con l’universo; quando i brufoli invasero la mia faccia, io presi quella dei protagonisti dei film d’azione, insieme alla loro mira infallibile e ai loro calci volanti, sempre a bersaglio; quando i brufoli cominciarono a nascondersi tra i peli della barba, preparando insidiose imboscate, io lavoravo per la CIA, infiltrato tra le pagine di intricate spy stories, immancabilmente sedotto da torbide dark ladies. Poi un giorno, mentre mi trovavo al cospetto del re degli Achei, mi raggiunse un messaggero. Una volta letta la pergamena caddi nel più nero sconforto. Diceva che gli eroi, tutti o quasi, erano fascisti. Sulle prime non ci credetti, eppure i saggi dell’epoca erano concordi. Conan, Achille, il capitano Achab, Topolino, l’Uomo Ragno, Bruce Lee, Big Jim nient’altro che un manipolo di cripto fascisti, armi senzienti di una volgare propaganda ami democratica. Anni di profonde riflessioni, tormentate dal dubbio, dilaniato dall’angoscia di essere io stesso manipolato da cospiratori manco tanto occulti mi portarono infine a una sofferta certezza. I saggi, vittime di un oscuro maleficio, avevano raccontato un sacco di cazzate.
Ho deciso allora di infrangere il sortilegio raccontando le gesta di un eroe, un eroe al cento per cento e anche più. Un eroe a una dimensione, una freccia che va dritta a bersaglio, bucando una realtà che di dimensioni ne ha almeno tre, se non quattro, quando ci si mette anche la magia a complicarla.
Alo Melograno non soffre della malattia di fine millennio, quella cronica e noiosa mancanza d’ideali che partorisce una prole di mostri dalla violenza cieca ed efferata. Alo Melograno ci vede benissimo, come i mostri che combatte. La loro violenza è una rappresentazione, i loro combattimenti sono cruenti e coreografici, antiche danze, moderne pantomime della spettacolare lotta tra il bene e il male.
Tutti i personaggi di questa storia sanno cosa vogliono; i loro desideri, anche i più abbietti, hanno la forza dei grandi ideali. E come tali sono semplici. Alo ama la Susy; la Susy ama se stessa; lo zio Gian Maria vuole dominare il mondo; la Principessa, che ha otto anni ed è una scienziata e una maga, guida il riscatto del popolo dei Fratelli Neri; Berta, la pistola intelligente e il carnoso, colui che la impugna, cercano di salvare dall’inevitabile crisi un rapporto fondato sulla banalità della perfezione; Candy, adorata regina dell’etere, ha scoperto che il rimorso è una malattia mortale, e per salvarsi si è decisa ad abdicare. Tutti gli altri, e sono tanti, corrono a perdifiato per stare dietro a tutte le cose che succedono, sperando di arrivare alla fine felici e contenti, demoni e formiconi giganti compresi.
E per concludere, scordate tutto quello che ho detto. Se avete la voglia e il tempo, leggete Alo Melograno riservandogli lo stesso sforzo intellettuale necessario a una partita di Risiko, e se vi annoia, non abbiate pietà. La fine peggiore che potete riservargli è di confinarlo su di uno scaffale in compagnia di romanzi, o presunti tali, senza avventure e amori impossibili.
Una pagina da Alo Melograno
1.1 Alo Melograno spinge l’aratro sul campo mentre fischietta un motivo che non sa. Sopra di lui il cielo e il sole; sotto, la collina e il paese. Più in là, lontano, le città, i ricchi, i poveri, le guerre dei ricchi, le guerre dei poveri e il mondo. Alo spinge l’aratro su e giù e pensa solo a quando il sole comincerà la sua lenta discesa. Allora spunterà Susanna sul motorino. Succede così, di venerdì, saranno due mesi.
La Susy spunta come un fiore, pensa Alo.
Prima non c’è, poi, dove il campo finisce, inizia la danza dei capelli intorno al suo sorriso. E Alo si ferma, dovunque si trovi, per vedere di quale colore sarà la Susy. L’ultima volta era blu. Il motorino è sempre rosso.
Un giorno Alo le ha raccontato del fiore e la Susy si è messa a ridere. Tutti gli altri venerdì, lei gli dà un bacio e se ne vanno via.
La bio nel 1998 (aggiornata al 2018)
ANDREA GARELLO è nato a Venezia e vive a Roma. Ha scritto sceneggiature per fumetti per la Granata Press e per la Tantillo Editrice (fumetti erotici). È stato sceneggiatore della sit-com di Rai Due Disokkupati. Alo Melograno è il suo primo romanzo.
In questi ultimi venti anni Andrea Garello si è dedicato al cinema. Tra i suoi film come sceneggiatore, ricordiamo: Uno di famiglia (2018), Senza nessuna pietà (2014), Smetto quando voglio (2013), Amnèsia (2002), Ecco fatto (1998).
Il libro
Andrea Garello
Alo Melograno
Marco Tropea Editore, 1998
254 p., brossura
€ 12,91
Andrea Garello ha scritto su exlibris20:
E tutti i mostri saranno uccisi
E tu cosa ne pensi?