Il trumpet-major è il trombettiere di un reggimento di cavalleria. È, prima e più di altri, colui che deve restare sobrio, eseguire correttamente i segnali con la tromba, essere un ottimo cavaliere capace di far risuonare un allarme in qualsiasi momento.”

Questa la definizione di trombettiere annotata in The Personal Notebooks of Thomas Hardy. Basterebbe già la definizione sola a confezionare una lezione di storia di Alessandro Barbero, esperto oltre che di Medioevo anche di storia militare. Ed è proprio sullo sfondo di un conflitto, quello napoleonico che vede coinvolta anche l’Inghilterra, il palcoscenico nel quale si muovono i personaggi tratteggiati dal celebre Thomas Hardy in questa prima edizione italiana del suo unico romanzo storico.

Edito da Robin nella sua collana Biblioteca del Vascello, dedicata ai grandi classici, questo romanzo narra di eventi a cavallo tra il 1804 e il 1808 nella città di Weymouth durante le guerre napoleoniche. The Trumpet-Major uscì per la prima volta tra il gennaio e dicembre del 1880, sul foglio evangelico Good Words, in quella pubblicazione a puntate così in voga all’epoca.  Hardy fornì poi all’illustratore John Collier schizzi di scene militari e domestiche da cui nacquero trentadue illustrazioni che accompagnarono la pubblicazione seriale e poi quella in tre volumi. La traduzione italiana, curata da Alessandro Medri, che da anni approfondisce temi relativi alla letteratura soprattutto dell’Ottocento tedesco, contiene queste illustrazioni comprese quelle dello stesso autore che disegna di suo pugno la copertina della prima edizione 1880.

Ma veniamo alla storia, al pretesto narrativo che innesca l’azione.

L’eroina Anne Garland è desiderata da tre pretendenti: John Loveday, il primo trombettiere di un reggimento britannico, onesto e leale; suo fratello Bob, marinaio inaffidabile: e Festus Derriman, codardo nipote del possidente locale. La città di Weymouth, scenario nel quale si muovono umori e amori, temeva l’avanzata dell’esercito napoleonico. Dei due fratelli John combatte con Wellington nella guerra della penisola e Bob milita con Nelson a Trafalgar.

Le fonti che consulta Hardy per una fedele ricostruzione dell’ambiente sono state fondamentali, come lui stesso ricorda nella prefazione al romanzo; dalla History of the Wars of the French Revolution (Londra 1817) di Gifford, agli scritti di Walter Scott. La lingua è lineare, la traduzione mantiene molta aderenza al testo originale, le note a margine aiutano a muoversi in un universo narrativo e storico senza perdere il contatto con la trama e l’azione. Il dettato hardyano originario non viene mai tradito, soprattutto nei dettagli delle descrizioni ai quali l’autore inglese affida molta della sua prosa. La punteggiatura, ammette Medri, è stata particolarmente rivista, le virgole aggiunte nei punti più indispensabili per arrivare alla scorrevolezza che sovente la versione originale inglese non mantiene allo stesso modo.

La storia viene raccontata da un narratore onnisciente, come spesso avviene nella letteratura classica. “In questo romanzo, il narratore non fornisce interpretazioni della storia che racconta, e si mantiene anche abbastanza neutrale nei confronti dei personaggi. Il testo non può essere classificato sotto alcun genere preciso perché li include tutti: satira, epica, commedia, tragedia, pantomima e così via. Come Moby Dick, è un compendio di tutti i generi.

Gli inserti ipertestuali, come avviene spesso in Hardy, sono numerosissimi nella loro universalità: dalla Bibbia a Tennyson passando per Shakespeare. Influenze e ispirazioni che si riflettono anche nella lingua così ricca di termini dialettali, arcaici, aulici, ma che è in grado di mantenere una fluidità di fondo che semplifica la lettura senza banalizzarla mai.

Romanzo storico perché ne rispetta tutti i crismi ma anche capolavoro dell’indefinibile. Il primo trombettiere contiene una vasta gamma di sfumature, nessuna delle quali riesce ad avere il sopravvento assoluto sulle altre.

È un romanzo polifonico come, secondo Bacthin, solo i romanzi di Dostoevskij hanno saputo essere.”

Angela Vecchione

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