Parlaci di te.

Mi chiamo Giovanna Mirabella, sono nata per caso a Carini, in provincia di Palermo, da madre palermitana e padre catanese, il che spiega già abbastanza bene quanto io sia contraddittoria. Sono cresciuta a Palermo, a poco più di vent’anni mi sono trasferita a Bruxelles, dove sono rimasta un paio d’anni per poi scegliere Roma come seconda casa. Qui mi occupo di relazioni istituzionali, ufficio stampa e comunicazione.

Da quanto tempo lavori nel mondo della comunicazione? Come ci sei arrivata?

Il mio percorso lavorativo può non sembrare lineare, ma ho costruito la mia carriera alternando la mia naturale passione per la comunicazione e le relazioni al desiderio di adrenalina che danno i grandi eventi e le campagne elettorali. Ho iniziato con uno stage al Parlamento Europeo; poi ho lavorato per anni per grandi eventi internazionali, per poi tornare ad occuparmi di politica e relazioni esterne. Sono più di 10 anni che lavoro ormai da freelance per grandi aziende, campagne elettorali e iniziative culturali. La libera professione, nonostante l’incertezza di fondo, mi fa sentire viva.

Quanto è stata importante la tua formazione per quello che fai oggi?

Direi fondamentali. Ho studiato in un liceo classico sperimentale, che mi ha dato una fortissima impostazione e molta disciplina. Lo studio delle materie classiche costituisce il sostrato culturale su cui si poggia il mio sguardo sul mondo, e la conoscenza delle lingue mi permette di affrontare la realtà come molteplice e non univoca: parlare più lingue mi ha aiutato a saper pensare la realtà in modi differenti, con sfumature diverse.

I libri che ruolo hanno nella tua vita?

I libri sono la mia via di fuga, la mia “stanza tutta per me”. Sono il posto dove tutto è possibile, dove tutto può essere nuovo e anche antico. Dove la realtà prende forma, ma allo stesso tempo rimane immaginifica.

In che modo sono stati importanti per il lavoro che fai?

Innanzitutto, come fonte di conoscenza. Il Novecento difficilmente mi avrebbe appassionato se non avessi letto Il Secolo breve di Eric Hobsbawm o i libri di Joseph Stiglitz. Ma confesso una predilezione per i romanzi storici e le storie in costume: Piccole Donne di Louisa May Alcott oppure Orgoglio e Pregiudizio di Jane Austen, ovvero il gusto per l’indipendenza femminile e la nobiltà di spirito, prima che per nascita. Impossibile non sperare di diventare come Jo March o Elizabeth Bennett, impossibile non sognare la loro evoluzione e la loro “carriera”.

C’è un libro in particolare che ha avuto un ruolo decisivo in quello che sei oggi?

Faccio fatica ad indicarne uno. Suite Francese di Irene Némirovsky, Lire 26.900 di Frédérick Beigbeder, Appunti per un naufragio di Davide Enia. Libri diversissimi tra di loro ma fondamentali. Il soccombente di Thomas Bernhard mi ha insegnato per motivi personalissimi quanto una persona possa essere vittima della propria debolezza, spacciata per grandezza. Ma forse il libro che più mi ha segnata è La Storia di Elsa Morante.

Ce ne vuoi parlare brevemente?

È il primo libro che realmente ho impresso nella memoria, il primo che io abbia veramente amato. L’ho letto durante il mio primo viaggio da ragazza, l’estate dei miei 17 anni. È un romanzo storico ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale e nel dopoguerra, in cui la Storia con la S maiuscola si intreccia con la storia dei protagonisti: Ida, Useppe, Bella. Mi ha insegnato ad accettare che non sempre c’è un lieto fine, e che bisogna combattere. Un libro doloroso ma necessario, da cui è difficilissimo staccarsi, che turba nel profondo. E che ti cambia. Se si è bravi, in meglio: io spero ancora di poterne essere all’altezza.

Intervista a cura di Angela Vecchione