Le storie infinite. Comunicazione e racconto nell’era digitale è il titolo dell’ultimo libro di Francesco Gavatorta. È probabile che tale titolo ricordi anche a voi l’omonimo film del 1984; personalmente mi ha riportato alla mente quella battuta in cui Falkor ricorda e puntualizza come lui non sia un cane ma un ‘fortunadrago’.

II saggio di Gavatorta ha poco a che fare con il film, ma il film, e le tante storie che ogni giorno raccontiamo e/o ascoltiamo grazie a video, libri, post, siti web, hanno molto a che fare con questo saggio; un libro tecnico, denso di contenuti, citazioni e riferimenti da addetti ai lavori accompagnati da schemi più generali, funzionali alla comprensione delle logiche, degli ingredienti, della forza e del potere che si nascondono dietro ad ogni storia.

La vera minaccia non è che la storia svanirà dalla vita umana in futuro; è che la storia prenderà il sopravvento completamenteThe Story Paradox – Jonathan Gottschall

Sostiene Gavatorta che se avessimo chiesto a più persone vissute nel ‘900 di rispondere alla domanda:
“Sai cos’è una storia?” quelle con ogni probabilità avrebbero risposto all’unisono: “favole, fiabe”.
Ai nostri giorni non esiste una risposta univoca a quella domanda e i vocaboli utili per rispondere cominciano farsi più generici e ampi: un racconto, una narrazione.

Storia, narrazione e racconto, tre parole utilizzate ampiamente come sinonimo dell’inflazionato vocabolo di derivazione inglese “Storytelling” di cui anche l’autore riporta, proprio all’inizio del suo libro, una delle definizioni più facili da incrociare nei libri, nelle presentazioni, negli eventi; si tratta della definizione data dallo scrittore Alessandro Baricco: “Sfila i fatti dalla realtà: quel che resta è storytelling”. È proprio qui, nella relazione tra fatti, realtà e narrazione, sostiene l’autore, che si genera l’equivoco, fra “ciò che si racconta e ciò che effettivamente è”. Mentre leggevo questa affermazione, il pensiero è andato a Copernico e a Galileo, alle loro teorie eliocentriche, basate sulle prime osservazioni svolte con metodo scientifico e sulla documentazione di fatti che però, paradossalmente, venivano considerate alla stregua di ‘fiabe’, ‘favole’ da coloro che accettavano come fatto (e racconto) unico e imprescindibile quello che poneva la terra al centro dell’universo e tutto non potesse far altro che ruotare attorno a lei.
Effettivamente, “raccontare è un modo per trovare un senso delle cose” e per raggiungere uno scopo.
L’episodio di Copernico e Galileo e dei loro critici ce lo ricorda, evidenziando come storie e fatti interpretati diversamente, alternativi, agli antipodi – teoria geocentrica VS teoria eliocentrica – possano coesistere in un dato periodo; questo perché lo storytelling non è né reale e né fittizio; lo Storytelling è “il modo che abbiamo per restituire i fatti”.

Modo e metodo diventano il cuore dell’intero saggio con cui Gavatorta ci vuole condividere “una cassetta degli attrezzi” utile alla comprensione, alla progettazione e alla costruzione di narrazioni.
Si comincia dal capire come ogni storia, racconto, narrazione abbia una sua forma e tempo; l’autore ci suggerisce i sette tipi di racconto codificati da Kurt Vonnegut e ne utilizza due, ‘Boy meets Girl” e “mito della creazione”, per spiegare e mostrare come si possano applicare in modo perfetto a due storie prese dal canale TikTok di Fedez. Funziona anche con le nostre storie, con quelle dei nostri contatti, delle imprese per cui lavoriamo, delle nazioni in cui abitiamo.
La proposta metodologica dell’autore si concretizza in una sorta di cruscotto, che ricorda in parte quello che un tecnico del suono si trova a dover maneggiare per controllare il volume degli strumenti, dei microfoni, gli alti, i bassi per una registrazione o un concerto live; nel caso dello storytelling, le leve da muovere e monitorare opportunamente per creare un impatto sono cinque:

  1. Applicazione
  2. Adattabilità
  3. Creatività
  4. Comprensione
  5. Coinvolgimento.

Questi cinque punti sono il cuore del saggio; l’autore li considera alla sorta di cinque KPI della narrazione, misurabili, quantificabili e utili non solo nel farci capire la struttura di un racconto, bensì il potere che questo ha nell’influenzarci, nello spingerci a cambiare o a compiere un’azione. A ognuno di questi cinque parametri è dedicato un intero capitolo.

Per questa recensione ho scelto di condividere giusto un paio di curiosità, quelle tra le tante che più mi hanno colpito mentre le leggevo; lascio così a voi scoprire tutte le altre raccontate dall’autore con cura e dettaglio, con un’ampia varietà di esempi supportati molto spesso da dati e grafici.
Esiste un fenomeno chiamato “Sharenting”; il termine nasce dalla fusione dei due vocaboli inglesi ‘share’ e ‘parent’ e sta ad indicare l’eccesso di condivisione di contenuti digitali su figlie e figli “dal punto di vista narrativo le storie dei figli diventano strumenti al servizio di un’autobiografia continua dei genitori … diventano storie con un altro valore in termini di applicabilità …
La creatività non è detto vada a braccetto con lo storytelling dato che ogni problema di comprensione porta a facilitare la preferenza di storie lineari, semplici, dirette (poco creative) in cui causa ed effetto sono chiari, facilmente identificabili in modo univoco.
“Cosa c’è di più semplice del credere nel fatto che “noi” siamo i buoni e “loro” (i nostri vicini, i paesi confinanti, blocchi culturali diversi) sono i cattivi? Causa/effetto. Senza sfumature, senza possibilità di sbavature, diventa facile a credere in qualcosa che ci viene presentata con una logica ascrivibile al monomito di Campbell.”

Sto terminando di scrivere questa recensione in un coffee bar di Londra, mentre intravedo dalla vetrina uno dei classici double decker rossi che però rosso non è, perché rivestito da una grande scritta colorata che riporta: “Every Story Matter”.

Ogni storia è importante, è vero, perché ogni “narrazione non smetterà di cambiare il mondo anche nell’epoca della Grande Digitalizzazione”.

Alessio Cuccu