Infinito Moonlit, Sara Gamberini, NN Editore

«Maria aveva individuato il posto dove costruire un riparo per le creature invisibili, sotto una quercia in una parte di bosco in cui si intravedeva anche il cielo, voleva fosse libero dalle fronde nel caso le entità arrivassero da un lungo viaggio e fossero costrette a scendere velocemente per la stanchezza o per salvare qualcuno.» Infinito Moonlit è un sistema simbolico e permanente dove, come direbbe la protagonista di un racconto di David Foster Wallace: “è tutto verde”. Verde è il colore dell’amore infinito che una madre prova per sua figlia, considerata l’universo e in grado di rinominare con il suo sguardo tutto ciò che la circonda. Verde è il bosco dove le due si rifugiano per vivere l’incanto della purezza e della verità, tra gli alberi nodosi e gli animali selvatici. Verde è l’atmosfera densissima del romanzo, ogni parola che si ramifica nella successiva in una distesa infinita di sentimenti contrapposti e attese che si attorcigliano dentro l’unanime speranza di un mondo d’amore.

Per la vacanza di chi non sceglie un luogo comune, predilige gli ambienti selvatici e gli scorci inattesi. Per chi sperimenta l’infinità della pianura e dei boschi, in Italia, nei paesi nordici o per chi azzarda il passo fino alle foreste più tropicali. La poesia dentro lo sguardo di Gamberini definisce questo libro perfetto per chi in vacanza pensa a sé non come vanto egoistico ma come specchio preservante dalla brutalità dei luoghi – troppo – comuni.

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L’ultimo maledetto, Emanuel Carnevali, Reader For Blind

«C’era sempre una piccola luce accesa, che mi guidava attraverso l’America, questo paese al buio. Sapevo di essere un poeta e covavo nel mio animo la voglia di scrivere. È chiaro che come me c’erano milioni di uomini, milioni, e se questi milioni di persone avessero avuto una voce, sarebbe stata la voce di Dio, come la voce del povero italiano, che piangeva disperatamente per le strade di New York, ricordando le canzoni napoletane.» Nella prima metà del Novecento, in piena epoca modernista, Emanuel Carnevali era considerato il poeta maledetto, alla stregua di Rimbaud e di Campana. Lo racconta, nella prefazione, l’editore a cui il recupero degli intellettuali italiani poco fortunati in patria, come Dante Arfelli e Annie Vivanti, sta a cuore. Emanuel Carnevali scrisse con lo sguardo da emigrato al contrario. Raccontando New York raccontava lo scrigno privato, e tumultuoso, che aveva lasciato in Italia, o forse era avvenuto il contrario. È stata l’Italia a non appartenere mai a lui. Il volume contiene le lettere, i racconti e il suo romanzo di esordio, L’ultimo uomo. Emanuel Carnevali sfoggia uno sguardo da emigrato paradossale: ha scelto di vivere a New York senza amarla, anzi proprio per i suoi difetti e limiti si trova a suo agio nel disagio. Al memoir fanno seguito i suoi racconti che ricordano come tono malinconico gli Angelici dolori di Ortese e le lettere indirizzate ai pensatori italiani suoi maestri alla lontana, spesso da lui tradotti in America, come Papini con cui il carteggio sembra scritto ieri, anzi domani.

Per la vacanza di chi sta per andare in America, a New York oppure a Chicago, magari per la prima volta, magari a conoscere generazioni di parenti alla lontana oppure a scrivere il suo capolavoro. Un libro ottimo per attraversare l’oceano, in aereo o su un battello, nell’illusione che la vita possa cambiare per sempre, al solo meritarlo. Perfetto per chi da un viaggio del genere è appena tornato e non riesce a credere di non essere più negli Stati Uniti.

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Tegumenta, Paolo Ferrante, Moscabianca Editore

«Nel 1978 a T., un borgo italiano, la tranquilla vita degli abitanti viene sconvolta da un terremoto che devasta una piccola zona del comune e inghiotte un’antica e massiccia costruzione di fine Ottocento», questa è una casa di cura privata, Nostra Signora di Tegumenta, un luogo misterioso e mistico, di cui l’unico superstite si presta a raccontarne la storia. Tegumenta è un romanzo illustrato dal forte richiamo distopico e dall’orientamento sudamericano. Se non fosse che Paolo Ferrante, in realtà, si sia ispirato alle architetture barocche leccesi, sua città natale, seppure mai citate direttamente nel testo. Il paesaggio liminale di un Salento gotico racconta la solitudine con intimità serena, in contrasto con la narrazione canonica della Puglia ancestrale. Il romanzo è un ipertesto con una grammatica che include parole inesistenti, malattie immaginate e sentimenti monchi. Il simbolico è più reale dei fatti. Pulcini nascono dalle tempie, falene albergano nelle pupille, serpenti covano sulle chiome. L’umanità si deforma, segue l’incedere del sentimento perduto.

Per la vacanza di chi non va in vacanza, per motivi diversi – tra cui il lavoro – salta un giro di relax e resta a casa. Oppure per chi vive in un luogo che è già una vacanza, per esempio la Puglia, da cui l’autore proviene. Una lettura immersiva per quelle domeniche estive sul divano che sembra non passino mai, ventilatore a palla e persiana abbassata, e poi si finisce per rimpiangere a settembre.

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A Edimburgo con Irvine Welsh, Andrea Pomella, Giulio Perrone

«La Edimburgo di Irvine Welsh è come la Parigi dei surrealisti inquadrata dagli sguardi deformanti di Breton, Dalì e Tzara, non è la città zuccherina che attrae sciami di turisti, è più una grigia allucinazione, un incubo grottesco. Edimburgo è la protagonista, ma è una protagonista narcotizzata, come i personaggi che la abitano.» Andrea Pomella si misura con il personal essay, raccontando, attraverso lo sguardo letterario e umano di Irvine Welsh, adottato a mito letterario e personale dagli anni di Trainspotting e oltre, quando per puro caso capitò nella capitale scozzese. Quella notte pre-vide, senza saperlo, una sorta di work in progress vivente della poetica di Welsh prima di leggere Welsh. Un libro d’amore disperato per la vita e per la letteratura: un discorso accorato sull’impossibilità di distinguerle. Pomella sa cosa vuol dire essere innamorati di uno scrittore, della sua vita, dei suoi romanzi, dei suoi luoghi e fregarsene se l’amore è ricambiato o meno. Per questo scrive con la naturalezza di chi ha imparato a vivere leggendo. Perché questo è anche un libro che ci ricorda come la lettura possa cambiare la vita: scoprire uno scrittore è come scoprire un luogo. Edimburgo è crudele, ferisce e deforma. Strangola e abbandona. Edimburgo è meravigliosa, è un sobborgo che vive ed esplode dentro le storie non solo di Welsh ma anche di Scott, Stevenson e di chi almeno una volta si è sentito dire “scegli la vita”.

Per la vacanza di chi ha scelto la Scozia, oppure una cittadina complementare tra la Gran Bretagna, l’Olanda e la Germania. Per chi si trova per caso o per desiderio in una città brutta, ma brutta che piace. Per chi ama i luoghi con un carattere burrascoso, per chi non ha mai spedito una cartolina in vita sua.

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Dove non mi hai portata, Maria Grazia Calandrone, Einaudi

«Di mia madre, ho soltanto due foto in bianco e nero.
Oltre, naturalmente, alla mia stessa vita e a qualche memoria biologica, che non sono certa di saper distinguere dalla suggestione e dal mito.
Scrivo questo libro perché mia madre diventi reale.
Scrivo questo libro per strappare alla terra l’odore di mia madre.»
 

Non ci sono dubbi sul romanzo, tra i candidati allo Strega, che consiglio. Un po’ perché Dove non mi hai portata si rifà ai canoni letterari riconoscibili del memoir,  perfetto per chi scova la poesia nella più umiliante vita quotidiana (da Ginzburg a Ernaux). Per Calandrone non è la vita a scriversi, ma la scrittura a vivere dentro la sua vita, creando innesti e fratture che danno origine a frammenti vicini all’elegia. E poi, la voce di Calandrone, con il suo sguardo che punta a ciò che manca rendendolo un’assenza necessaria dal punto di vista narrativo, è qualcosa che mi pare non aver mai visto e nemmeno ascoltato. Per cui preziosissima. Non ho un residuo di dubbio. Dove non mi hai portata è un libro per chi non ha paura dell’immaginazione. È la storia vera, con dosi di antropologia su di sé, della scrittrice: una figlia adottata che racconta la storia della vera madre, mai vista e mai conosciuta e morta troppo giovane. Poesia senza manierismo. Dolore senza vittimismo. 

Per la vacanza di chi odia l’estate e andare in vacanza, ma ci va per amore oppure per poter dire di non porre limiti alla scoperta del sé. Perfetto per la classica villeggiatura al mare, quel periodo lungo e amorfo, quotidiano e continuativo, sempre uguale ogni estate e per questo magicamente unico.

Alessandra Minervini

Cinque letture per lettori in cerca di vacanze (prima parte)