Nel tessuto intricato della storia letteraria giapponese, Akiko Yosano si erge come una figura di spicco, non solo per il suo genio poetico, ma anche per il suo approccio rivoluzionario alla maternità e al femminismo nel Giappone del primo ventesimo secolo. La sua vita e le sue opere sono intrinsecamente legate da un filo sottile, che riflette il costante conflitto tra tradizione e progresso, individualità e dovere sociale.

Nata nel 1878 a Sakai, nell’attuale Prefettura di Osaka, Akiko Yosano si trovò a vivere in un’epoca di cambiamenti tumultuosi per il Giappone: l’era Meiji, caratterizzata dalla modernizzazione e dall’occidentalizzazione, che portò con sé anche idee progressiste sul ruolo della donna, concetti in totale conflitto con la rigida struttura patriarcale della società giapponese. Proprio nella sua produzione saggistica, poco tradotta, Akiko è in grado di snocciolare la questione legata alla parità di genere da una prospettiva ampia e profonda, che abbraccia la sfera sociale, politica e filosofica. Come sottolinea Claire Dodane (2000), il femminismo di Akiko si configura come umanistico ed è incentrato prettamente sul significato di individuo nella sua pienezza: l’ideale di donna “buona moglie, madre saggia” (ryosai kenbo) è il risultato storico di un’epoca militarista che inneggia alla forza fisica e alla violenza come unici valori validi, tralasciando l’importanza della libertà individuale e dell’autorealizzazione.

La discriminazione più gravosa che la donna dovesse fronteggiare era quella di non vedersi concessa la possibilità di crescere in quanto persona, nel rispetto del proprio essere.

“Qualsiasi settore della vita delle donne giapponesi esaminate, scoprirete certamente un gran numero di difetti, che qui non si possono passare sotto silenzio. Non si tratta in nessun caso di difetti derivati dalla nuova mentalità e dal nuovo sistema dell’epoca moderna; al contrario continuano ad esistere perché la vecchia mentalità e il vecchio sistema, ormai difficilmente adattabili alla psicologia e alle condizioni di vita delle donne moderne, mantengono il loro potere” (Irene Starace, Agli uomini intelligenti di Akiko Yosano, 2015)

Nella traduzione italiana, a cura della ricercatrice Irene Starace, dell’introduzione del saggio di Akiko Yosano Agli uomini intelligenti, presentato per la prima volta nel 1919, emerge chiaramente il riferimento al concetto del danson johi (rispetto per gli uomini, disprezzo per le donne) e al kazoku seido (sistema della famiglia) che limitava l’indipendenza della donna in ogni ambito della sua vita, dal matrimonio all’istruzione, dalla maternità alla partecipazione politica.

“Noi non abbiamo libertà, uguaglianza, né amore, nemmeno nell’infanzia. Inoltre, non abbiamo neanche conoscenze, né lavoro, né diritto alla partecipazione politica. Come potrebbero gli uomini e le donne giapponesi dividere le responsabilità collaborando alla vita nel mondo del dopoguerra, in cui viene perorata la solidarietà sociale dell’intera umanità, lasciando le donne in una situazione di stallo così innaturale?” (Irene Starace, Agli uomini intelligenti di Akiko Yosano, 2015)

Innaturale, poiché comporta l’abnegazione. Immorale, poiché immorale è tutto ciò che viola il rispetto della dignità umana.

Akiko abbracciò con fervore l’idea di emancipazione femminile, con un approccio che era allo stesso tempo audace e sottile: le sue poesie non solo esploravano i temi della femminilità e della maternità, ma sfidavano apertamente le norme sociali e le convenzioni di genere dell’epoca. In un momento in cui molte donne erano confinate a ruoli domestici e sottomesse all’autorità maschile, Akiko si ergeva come una voce ribelle, dichiarando la propria autonomia e indipendenza attraverso la sua arte.

Eppure, una delle sfide più sorprendenti che Akiko affrontò fu il suo rapporto controverso con la maternità. Durante la sua vita, infatti, rimase incinta ben undici volte, fatto che attirò l’attenzione e la speculazione della società giapponese dell’epoca. Questo numero considerevole di gravidanze non solo rappresentava un’eccezione rispetto alle norme del tempo, ma metteva anche in discussione le aspettative sociali riguardo al ruolo delle donne nella società.

In un periodo in cui le donne erano spesso considerate come meri strumenti per la riproduzione e il sostegno della famiglia, Akiko si rifiutava di essere ridotta a una semplice madre: sebbene accettasse il ruolo materno con gratitudine e dedizione, non consentì che questo definisse interamente la sua identità. La sua poesia rifletteva questa complessità, rivelando una gamma di emozioni e sfumature che spaziavano dall’amore e dalla gioia alla fatica e alla lotta.

Figura 1: Madre e Figlio (1797) – Kitagawa Utamaro

 Una delle sue poesie più famose, Azusa Yumi (Cardo e Bambù), tratta dalla sua acclamata raccolta “Midaregami” (Capelli scomposti), riflette sulla profonda connessione tra madre e neonato:

“`

Your crying face,

Though from a time before memory,

Is engraved in my heart,

Your soft hands,

Your warm breath,

I feel them even now,

Thistle and bamboo, together,

I cannot forget you.

“`

In questa poesia, Akiko articola l’essenza senza tempo dell’amore materno, sottolineandone la natura duratura che trascende il tempo e la memoria. L’immagine del “cardo e del bambù” simboleggia il rapporto delicato ma resiliente tra madre e figlio, evocando un senso di interconnessione e forza.

Figura 2: Madre e Figlio (1800) – Kitagawa Utamaro

Allo stesso tempo le sue scritture sfidano i tradizionali ruoli di genere e sostengono l’affermazione e l’autonomia delle donne. In un altro suo saggio, La Rosa Malata (Byōki Hana), Akiko critica la natura restrittiva della femminilità convenzionale e invita le donne ad abbracciare la propria individualità e aspirazioni:

“`

Like a sickly flower in a garden,

Women wilt under societal norms,

But let us not be confined,

To roles prescribed by tradition,

Let us bloom in our own light,

With strength and conviction,

For we are more than mere adornments,

We are the architects of our destiny.

“`

In queste potenti parole, sostiene l’autodeterminazione delle donne, esortandole a superare i vincoli sociali e perseguire i propri sogni e ambizioni.

Nonostante il suo approccio rivoluzionario, Akiko non era immune alle contraddizioni della sua epoca e della sua stessa vita. Pur lottando per l’indipendenza e l’autonomia femminile, spesso si trovava intrappolata nelle reti delle aspettative sociali e delle convenzioni di genere.

Le sue poesie, se da un lato esprimono un desiderio ardente di libertà e individualità, dall’altro riflettono anche una profonda angoscia e conflitto interiore, tanto che in uno dei suoi tanka più famosi, Akiko arriva addirittura a paragonare il feto all’interno del grembo materno a un demone che la divora da dentro, un’immagine icastica che evoca sia la meraviglia che la paura della maternità.

Nonostante queste sue contraddizioni e sfide personali, Akiko rimaneva un faro di speranza e ispirazione per molte donne del suo tempo e oltre. La sua capacità di trasformare le sue esperienze personali in poesia toccante e incisiva non solo le ha permesso di superare le limitazioni della sua epoca, ma ha anche aperto la strada per una nuova visione della femminilità e della maternità nel Giappone moderno.

Oggi, l’eredità di Akiko Yosano vive attraverso le sue opere, che continuano a ispirare e incantare lettori di tutto il mondo. La sua vita e il suo lavoro rimangono un testamento alla forza della determinazione e della creatività umana, e alla capacità di una sola persona di sfidare le norme sociali e plasmare il proprio destino.

In un’epoca in cui la maternità e il femminismo sono ancora oggetto di dibattito e controversia, le parole di Akiko risuonano con una rilevanza e una potenza straordinarie. La sua storia ci ricorda che anche nei momenti di maggior difficoltà e contraddizione, c’è sempre spazio per la rivoluzione personale e il cambiamento sociale.

Quindi, mentre riflettiamo sulle parole e le opere di Akiko Yosano, possiamo trarre ispirazione dalla sua straordinaria vita e dal suo coraggio nel rifiutare le limitazioni imposte dalla società e abbracciare pienamente la sua individualità e la sua creatività. Che sia attraverso la poesia o attraverso azioni concrete, possiamo onorare il suo ricordo continuando a lottare per un mondo in cui ogni donna possa essere libera di definire se stessa e il proprio destino.

Margherita Lovelli