”Certaines histoire sont comme des forêts, le but est d’en sortir.”

La letteratura svolge una funzione molto importante all’interno della nostra società perché può essere non solo fonte di svago e intrattenimento, ma ha anche un ruolo educativo e ci aiuta a riflettere su alcuni aspetti importanti della nostra storia e della nostra identità. In particolare, ci può ricordare ciò che è passato ma che ha ancora una certa rilevanza nel plasmare chi siamo oggi. Il romanzo Les presque soeurs di Cloé Korman è senz’altro un esempio di come un libro possa farci scoprire parti importanti della nostra storia di cui spesso ci dimentichiamo o, come in questo caso, preferiamo forse non ricordare. L’autrice infatti ci accompagna alla scoperta di un aspetto molto doloroso e controverso nella storia della Francia: il destino di molti bambini ebrei rimasti orfani a seguito della deportazione dei loro genitori e poi imprigionati dal regime di Vichy durante la seconda guerra mondiale.

La storia dal punto di vista dei bambini

Korman ci racconta la storia di sei bambine ebree di origine polacca che, dopo la cattura dei loro genitori, vengono sballottate tra varie case, internamenti e campi. Tre di loro sono le sorelle Korman, cugine del padre della narratrice, che finirono per essere portate ad Auschwitz dove morirono come migliaia di altri bambini ebrei. Le altre tre, le sorelle Kaminsky, furono catturate insieme alle sorelle Korman ma alla fine riuscirono a fuggire e salvarsi da una morte sicura. Provenienti da contesti sociali differenti, le sei bambine stringono da subito una forte amicizia durante questo periodo di reclusione forzata. Ed è proprio questo forte legame tra loro che ispira il significato del titolo, loro stesse si definivano ‘quasi sorelle’, un modo forse per far fronte alla situazione difficile e proteggersi dalla brutalità delle altre persone che le circondavano. Les presque soeurs è uno dei pochi romanzi che ci offre la possibilità di vedere degli eventi così drammatici dal punto di vista dei bambini e nelle parole di Korman leggiamo la forza delle giovani protagoniste nell’affrontare il loro crudele destino, ma allo stesso tempo anche la loro vulnerabilità: sono sole e lontane dalle loro famiglie, di cui possono solo immaginare la sorte. Come molti coetanei, erano probabilmente cresciute leggendo le favole e sicuramente non erano preparate a quello che le aspettava ma seppero trovare il coraggio di andare avanti anche grazie alla profonda amicizia che le legava.

Una storia individuale, una memoria collettiva

Oltre a rendere il lettore più consapevole degli avvenimenti storici, il libro ci offre anche la possibilità di riflettere su altri temi come l’evoluzione delle interazioni umane in queste situazioni difficili, la forza e l’intraprendenza dei bambini e l’importanza delle storie individuali per capire meglio la storia con la ‘S’ maiuscola. Come succede in molti di questi casi, l’autrice stessa non sapeva quasi nulla di questa storia dolorosissima fino a quando la sorella le racconta quello che è riuscita a scoprire grazie ad una serie di lettere, fotografie, registri di detenzione e informazioni ricevute durante le conversazioni con Madeleine, la più giovane delle sorelle Kaminsky e unica sopravvissuta, con cui è riuscita a parlare.

Il libro nasce come la ricostruzione di una parte della storia familiare dell’autrice, di cui in famiglia non si era mai parlato molto, e dà alla famiglia la possibilità di processare molte delle emozioni che sono ancora legate a quegli eventi inspiegabili e difficili da comprendere. Ma Korman non si limita a raccontare la storia delle sue cugine e le loro amiche, ci parla anche della memoria collettiva di una nazione facendo da ponte tra il presente e il passato. Non ci sono più molte persone sopravvissute che possono raccontare l’orrore perpetrato dallo stato francese per attuare la strategia nazista, con la complicità di parte della popolazione, in un’atmosfera di apparente normalità in cui molti di coloro che sapevano cosa stava succedendo preferirono non parlare. E poi ci sono anche gli eroi, gente normale che ha messo a repentaglio la propria vita per trovare un modo di salvare quanti più bambini possibile da questo genocidio.

Tra ricerca storica e immaginazione

Come dice la stessa autrice il libro è creato sulla base di due fattori equamente importanti: la ricerca storica e l’immaginazione. Da un lato c’è una scrupolosa ricerca della verità attraverso le scarse informazioni disponibili negli archivi ufficiali, le testimonianze e le lettere ritrovate. Korman vuole dare voce alle sei bambine scomparse ma anche raccontare il calvario che hanno dovuto vivere le migliaia di bambini scomparsi. Allo stesso tempo vuole mostrarci chiaramente il coinvolgimento dello stato francese e come la polizia andasse nelle case e catturasse adulti e bambini, dettagli che molti non conoscono o preferiscono ignorare. Per questo i luoghi, alcuni dei quali non esistono più, giocano un ruolo molto importante nella narrazione ma anche nel processo di scrittura del romanzo. Visitare Drancy, per esempio, ha avuto un significato speciale per l’autrice perché spesso non possiamo nemmeno immaginare dove questi fatti sono successi e vederli di persona rende tutto improvvisamente ancora più reale, soprattutto quando si realizza che questi bambini sono stati portati a morire lontano dai loro cari e questi luoghi sconosciuti sono gli ultimi che hanno visto.

In contrasto con questa cruda realtà, il romanzo include anche dettagli che l’autrice ha immaginato per mancanza di informazioni sufficienti, nello stesso modo in cui i bambini giocano ad inventare le loro storie. Korman infatti vuole che le sei piccole protagoniste abbiamo una loro personalità, proprio perché questo senso di identità e di appartenenza al gruppo di ‘sorelle’ è quello che le ha rese più forti davanti alle difficoltà. Ma può solamente immaginare cosa pensassero davvero durante quei giorni terribili o come sarebbe cresciute se ne avessero avuto la possibilità perché’, alla loro morte, le cugine della scrittrice avevano solo 4, 7 e 10 anni e di loro rimangono solo alcuno lettere che scrissero ad alcuni amici di famiglia invece che hai genitori perché avevano probabilmente capito che non li avrebbero mai rivisti. Grazie al suo libro Korman le fa rivivere mentre purtroppo la sorte di altri bambini è stata ancora più terribile perché sono morti senza che se ne sapesse nemmeno il nome e sono quindi stati consegnati all’oblio più completo. Infatti, a causa della loro giovanissima età, alcuni avevano il loro nome scritto in un braccialetto ma spesso questi venivano persi o scambiati per gioco, e perdendoli i bambini perdevano anche la loro identità.

Una testimonianza toccante che non ci lascia indifferenti

L’aneddoto dei braccialetti è solo uno dei molti momenti toccanti del romanzo in cui la narratrice ci fa riflettere sull’enorme brutalità e orrore a cui ci troviamo davanti, ma lo fa con uno stile sobrio e in alcuni punti quasi poetico. Il racconto è impreziosito dal fatto che c’è un legame profondo tra la narratrice e le protagoniste ed è particolarmente toccante per noi lettori scoprire che quando Korman inizia la ricerca per scoprire la storia delle sei bambine è incinta del suo secondo figlio. Una delle motivazioni che la spingono a saperne di più è proprio poter raccontare la loro storia alla prossima generazione della sua famiglia e, allo stesso tempo, salvaguardare la memoria collettiva parlando di questi eventi al pubblico del futuro.

Korman sceglie di usare uno stile di scrittura giornalistico che senz’altro dimostra la qualità del lavoro di ricerca che sta alla base del romanzo ma che a volte sembra freddo e funzionale.  Ne risulta un romanzo-documentario che ci fornisce una ricostruzione dettagliata dei fatti attraverso l’uso di molte statistiche, per esempio, sul numero delle vittime, una serie di date storiche che possono sembrare a volte superflue e un considerevole numero di luoghi e personaggi che rendono alcuni passaggi difficili da leggere e che a volte ci impediscono di sentirci emotivamente coinvolti nella narrazione. In ogni caso, a prescindere dallo stile utilizzato, il destino delle sei ‘quasi sorelle’, così come quello delle altre vittime di questi eventi orribili, non ci può lasciare indifferenti. Korman riesce senz’altro a sensibilizzare i lettori sul tema del romanzo e sull’importanza di ricordare il nostro passato, anche se doloroso. E viene spontaneo chiedersi se questa scelta di uno stile giornalistico e fattuale non sia l’unico modo per l’autrice per poter trattare un tema cosi orribile e pieno di emozioni, e riuscire a trasformare una storia familiare in una contribuzione importante per la memoria collettiva francese.

Valentina Lorenzon

Cloé Korman è una dei finalisti del Choix Goncourt UK insieme a Giuliano da Empoli, Brigitte Giraud e Makenzy Orcel. Valentina Lorenzon, che ha partecipato alla lettura per la scelta, ci sta portando alla scoperta di questi quattro libri non tutti tradotti in italiano.