Nella credenza buddista l’equinozio d’autunno rappresenta quel momento dell’anno in cui il confine tra il mondo terreno e quello ultraterreno si assottiglia, quel momento in cui la “riva opposta” diventa sempre più scorgibile e si vive sospesi come in un limbo tra la vita e la morte. Isola era costellata di bellissimi higanbana, conosciuti anche come gigli rossi per il colore scarlatto del bulbo. Oltre a simboleggiare la possibilità di interagire con le anime dei cari defunti, gli higanbana erano delle piante officinali che sortivano degli effetti anestetici, ragion per cui solo le persone pratiche nella cura dei fiori, le cosiddette “coglitrici”, potevano toccarli.

Yona era una coglitrice e aspirante noro, personaggio motore di un racconto che inizia in medias res, descrivendo il primo incontro con Umi, un incontro speciale e punto nodale per lo sviluppo della narrazione: circondata dai tentacoli rossi degli higanbana, una ragazza dalla pelle diafana, dai capelli neri e con un abito bianco giaceva priva di sensi sulla spiagga di Bêiyuè, “quella a forma di mezzaluna” sul versante nord di Isola. Mentre stava selezionando con attenzione i fiori da raccogliere, Yona scorse la ragazza adagiata sul tappeto scarlatto. Ammaliata dal suo fascino, rimase a scrutarla e, dopo qualche istante di esitazione, decise di assisterla e di indagare sulla sua misteriosa provenienza.

La scrittura di Li Kotomi non lascia niente al caso, ogni parola traghetta significati più profondi, evoca immagini nitide, dialoga con le altre parole in una polifonia semantica che nasconde un’ineffabile magia. La polisemia è racchiusa nel nome suggestivo della stessa protagonista, Umi: esso può indicare il mare (海), può essere letto come l’accostamento di due caratteri 霧 (nebbia) e 実 (frutto) oppure con il carattere “u” 宇 di universo. La nebbia rimanda al passato offuscato della giovane donna approdata su Isola forse da Nirai Kanai, “il paradiso leggendario” che si trovava al di là del mare. Sedimenti di memoria riaffioravano, di tanto in tanto, come fiochi segnali di luce nella nebbia, “lampi che balenano, resti di una nave in frantumi, i bambini inghiottiti dal mare agitato, il volto di una persona infuriata”. Nonostante i ricordi confusi, Umi poteva affermare con certezza che il suo era un mondo totalmente diverso da Isola. Un mondo in cui la famiglia era l’unità fondamentale, si privilegiavano i legami di sangue, le persone indossavano abiti bianchi, le case erano grandi scatole rettangolari, ogni cosa conservava una sembianza sterile e i momenti del giorno erano segnati da uno strumento che misurava il tempo con precisione, non scanditi dalla naturale inclinazione del sole come avveniva su Isola. D’altra parte, la “u” di universo richiama il sentimento panico della natura che contraddistingueva Isola e i suoi abitanti. Non esisteva il concetto di famiglia, i neonati crescevano come “bambini di Isola”, chiunque poteva presentare una domanda per accudire un bambino fino alla maggiore età, donna o uomo che fosse.

L’amore aveva una connotazione libera su Isola, non era incasellato in artificiosi schemi culturali, era amore per il mare, per il cielo limpido, per la luce argentea della luna, per ogni creatura vivente. Malgrado ciò, gli isolani con “il cuore della stessa forma” erano divisi in donne e uomini. La “lingua delle donne”, il giapponese antico trasformato nella parlata del Sol Levante dopo che il Giappone aveva espulso gli stranieri, era appannaggio esclusivo delle noro, le “guide spirituali e politiche di Isola”, le officianti di ogni festività, artefici della storia e le uniche responsabili della sua trasmissione. Le giovani donne che avevano compiuto dieci anni di età si radunavano una volta al mese, nelle sere di plenilunio, per imparare la lingua delle donne, utilizzando il Jojisen, il testo sacro “sorgente di tutti i vocaboli”. Anche Yona stava studiando per diventare una noro e Umi decise di seguire il suo esempio, cercando di ricomporre, passo dopo passo, i tasselli del suo passato. Con il passare del tempo, Umi si accorse che la lingua delle donne aveva qualche similarità con la parlata del Sol Levante e che la sua anima “a metà” non era poi così diversa da quella della Grande Noro, la guida più anziana dallo sguardo tagliente, per via della sua pupilla bianca e opaca. La Grande Noro ebbe, fin da subito, un occhio di riguardo per Umi, le loro vite erano giunte allo stesso bivio e condividevano il ricordo opaco di un passato molto simile, il candore della loro anima era stato macchiato inesorabilmente dalla stessa sanguinosa guerra, provocata dalle massime autorità giapponesi per espellere gli stranieri. “Massime autorità giapponesi a predominanza maschile”. Allo stesso modo, gli antenati stranieri, fuggiti dal Giappone e approdati su Isola, cominciarono una nuova guerra per espellere i nuovi arrivati da Taiwan conquistata dalla Cina. “Antenati stranieri a predominanza maschile”.

Una visione distopica del potere che un po’ ricorda il precetto dell’uguaglianza “all animals are equal but some animals are more equal than others” nel celebre romanzo Animal Farm di G. Orwell. I “fiumi di sangue” versati su Isola rappresentarono il punto di non ritorno, il motivo che spinse l’umanità a consegnare la storia in mano alle donne. Ecco perché su Isola si parlava una lingua segreta tramandata solo tra le donne, le quali non davano importanza ai legami di sangue perché li consideravano all’origine di molte guerre e mescolavano usanze importate dal Giappone e da Taiwan, favorendo una reciproca contaminazione linguistica, culturale e religiosa, all’insegna della libertà e della diversità.
Isola è un’eterotopia che, in un certo senso, ricorda Die Insel der Grossen Mutter (L’Isola della Grande Madre) di G. Hauptmann, un mondo nuovo in cui l’ordine tradizionale delle cose è stato completamente ribaltato e in cui la figura femminile, dipinta come forte, affascinante ed enigmatica, riveste un ruolo centrale.

Il finale aperto lascia al lettore immaginare quale sarà il futuro di Isola, gli uomini avranno mai accesso alla storia? La lingua delle donne smetterà di essere una lingua segreta?
La chiave di lettura di queste domande sarà Tatsu, giovane uomo a cui Yona e Umi sono legate da un sentimento profondo, personaggio decisivo nell’intero percorso di crescita delle due giovani donne.

L’Isola dei gigli rossi è un romanzo delicato che incanta, che sovverte ogni gerarchia e che travalica ogni confine grazie al potere del linguaggio e delle relazioni umane.

Claudia Melcarne