L’anno scorso Marco Apostoli Cappello ha scritto per Fumettologica.it una lunga recensione di Unflattening, un saggio sul fumetto scritto da Nick Sousanis e pubblicato da Harvard University Press. La particolarità di quel saggio – ce ne sono tanti che provano a spiegare in cosa consista la natura intrinseca del fumetto – è che è a a sua volta un fumetto. Perché? Perché Sousanis è partito dall’assunto che per spiegare cosa sia il fumetto bisogna farlo a fumetti. Il fumetto, dice, è un essere anfibio, perciò completo. Permette di guardare, di osservare le tavole mentre si legge. Un po’ come guardare il mondo con due occhi, invece che con uno solo.

Nella prefazione a La via dei Tarocchi, di cui è co-autrice insieme a Alejandro Jodorowski, Marianne Costa ha scritto “è vero che i Tarocchi costituiscono innanzitutto un apprendistato al vedere”.

In un lungo dialogo con Sonu Shamdasani, divenuto poi un libro intitolato Il lamento dei morti e dedicato allo straordinario Libro Rosso di Carl Gustav Jung, James Hillman dice a un certo punto che Jung, nel Libro Rosso, “sembra fare esattamente questo […], permette alle figure di parlare, di mostrarsi. Addirittura le incoraggia a farlo”.

Nel suo ultimo libro, intitolato L’ordine del tempo, Carlo Rovelli dice che quello che chiamiamo ‘tempo’ è una “complessa collezione di strutture, di strati. Studiato via via più in profondità, il tempo ha perso questi strati, uno dopo l’altro, un pezzo dopo l’altro”.

Confusi? Bene. È la stessa sensazione che proverete dopo una trentina di pagine di Nameless – Senzanome, lo straordinario fumetto scritto da Grant Morrison, disegnato da Chris Burnham e colorato Nathan Fairbairn. La stessa identica sensazione, intendo, perché Nameless, a partire da un innesco narrativo all’apparenza innocuo, fa e parla esattamente delle cose che ho citato sopra: attinge alla mitologia – quella Maya e polinesiana, in particolare –, cita Jung, sovverte il tempo, utilizza i tarocchi come punti d’appoggio e porte d’ingresso in realtà che stanno una dentro l’altra come scatole cinesi e ci mostra lo spaventoso potenziale – in tutti i sensi – del medium di cui Morrison è indiscusso maestro.

Nameless – Senzanome – pubblicato negli USA da Image Comics e in Italia da saldaPress – è la storia di un occultista ingaggiato da un miliardario per aggregarsi a una missione che ha come obiettivo la salvezza della Terra. Un gigantesco asteroide, infatti, sta per entrare in collisione col nostro pianeta ed è necessario scongiurare l’apocalisse. Sembra Armageddon, e invece no. Senzanome, questo il nome dell’occultista – non avere un nome lo tiene al riparo da malefici influssi, ma tutti nasciamo senza un nome e alla nostra morte lo abbandoniamo, come gli dice uno analista molto simile a Jung –, ha una chiave. E quella chiave molto particolare è in grado di aprire il carcere costruito all’interno dell’asteroide, nella cui cella è prigioniero da milioni di anni un dio capace di scatenare la fine della razza umana.

Le tavole, costruite a loro volta con vignetta che riproducono simboli dal preciso significato alchemico o occulto, mettono in scena il disfacimento del concetto di tempo, di spazio, di narrazione lineare, obbedendo alla storia concepita da Morrison: un incubo in cui si incontrano Lynch, Lovecraft, i tarocchi, Jung, Carpenter e decine di altri rimandi, con l’intento di rispondere – senza rispondere – a una domanda: cos’è essere umani?

Attraversando l’orrore, il gioco a incastri e la vertigine di Nameless si ha la sensazione di aderire così profondamente a quella domanda, da diventare quella domanda stessa. Di vedere così in profondità in quella domanda – di vederla leggendo – da spingerla a mostrarsi. Anche solo per un istante.

Jacopo Masini