Stage che durano in eterno… vi riconoscete?

Purtroppo molti giovani risponderebbero affermativamente a questa domanda. Si tratta di una situazione piuttosto comune ai nostri giorni, dalla quale docenti esperti e professori universitari mettono in guardia: Sì alle collaborazioni come ricercatori, sì allo stage per fare esperienza, ma a tutto c’è un limite, perché, se da un lato la sottoscrizione di contratti di ricerca e di stage costituisce un’occasione di crescita e formazione, dall’altra espone al rischio di una stasi professionale. A volte, infatti, al termine di un periodo di stage ne seguono altri senza possibilità di stipulare contratti di assunzione veri e propri. Altre volte, invece, finito il tirocinio, il giovane è di nuovo senza lavoro, per poi incappare in un’altra offerta di stage, e in un’altra ancora: insomma, s’imbatte in un circolo vizioso dal quale è difficile sottrarsi.

Ed è proprio da qui che inizia la storia del libro Non è la fine del mondo, di Alessia Gazzola.

La protagonista, Emma De Tessent, trent’anni, lavora come “tenace” stagista per una casa di produzione cinematografica. La ragazza è convinta che la promessa che le è stata fatta sarà mantenuta e che finalmente, al termine dell’ennesimo stage, le verrà proposto il tanto atteso contratto d’assunzione come dipendente.

Purtroppo la sua aspettativa non si realizza ed Emma si ritrova a cercare assiduamente un impiego, distribuendo curricula, sostenendo colloqui, ricevendo rifiuti e ricorrendo anche alle conoscenze di famiglia.

Se ci fermassimo qui le prospettive non sembrerebbero molto rosee.

Ma allora, perché proseguire nella lettura? Perché Emma è una protagonista determinata, che affronta la condizione di dover scegliere tra quella che sembra la via più facile, quella che in genere tutti consigliano per star bene “al momento” e nella quale inevitabilmente dovrai scendere a compromessi, e la via che immediatamente si rivela rischiosa, che può finire in un attimo lasciandoti di nuovo per strada, ma che ti permette di camminare a testa alta e mantenere la dignità.

Non è la fine del mondo è, come preannuncia il frontespizio del libro, una “favola moderna” a lieto fine, e in questo periodo così buio della nostra storia, in cui lo slogan Tutto andrà bene è stato, e tuttora, continua ad essere ripetuto costantemente come motto alla positività, si avverte la necessità di un lieto fine.

La Gazzola dosa nelle giuste proporzioni l’elemento romantico con quello ironico senza essere stucchevole, proponendo al lettore una protagonista forte e fragile allo stesso tempo, che non si piega alle contingenze ma che le affronta con dinamismo e ostinazione.

Emma vuole lavorare, deve lavorare, ne sente la necessità, come lei stessa afferma: Ho bisogno di lavorare. E non solo per i soldi, ma soprattutto perché sto scoprendo che, senza un posto in cui recarmi ogni mattina, senza la sicurezza di sentirmi parte di un motore produttivo, mi sento smarrita.

Una lettura d’evasione ma non per questo priva di contenuti: essa ritrae la condizione di precarietà del mondo del lavoro giovanile e, al contempo, la voglia di riscatto, di dimostrare, prima a se stessi e poi agli altri, di valere qualcosa, indipendentemente dal lavoro che facciamo, purchè lo svolgiamo con impegno e dedizione.

Rossella Belardi