La vita di campagna, gli amori, le illusioni e le passioni dei tredici anni. Una storia di formazione che si dipana attraverso il lento intercedere delle stagioni.

Nostalgia della semplicità, emozioni ambivalenti, speranze incastrate a una quotidianità tanto forte quanto stringente. È questo che emerge dal romanzo Piatta è la campagna, opera prima del giovane Matteo Parmigiani, edita da Fernandel. Un libro che è una storia di formazione e assieme un racconto dai toni biografici, in cui tra le parole, semplici e dirette, è possibile scorgere vivide immagini di ricordi d’infanzia: la vita di paese, le corse a perdifiato nei campi, le sponde remote del fiume Adda, lo scorrere lento e insidioso di una vita di campagna che è libertà e prigione al contempo.

Protagoniste di questa storia sono le emozioni, raccontate in tutto il loro impeto giovanile. Parmigiani rievoca fedelmente la rabbia tipica della preadolescenza, la confusione, l’amore e l’insoddisfazione nei confronti della famiglia e degli amici, l’incerto sbocciare dei primi amori.

Rabbia e orgoglio si insediano in una prosa diretta e vivida, sfumando con i propri colori i sentimenti tipici e acerbi dei tredici anni. L’abilità dell’autore consiste nel portare il lettore nel proprio turbinio emotivo, amando e odiando come il piccolo protagonista della storia alle prese con una vita che tenta di afferrare come meglio può.

Matteo affronta esperienze difficili e inaspettate; veri e propri tradimenti da parte del mondo degli adulti: dal padre che tradisce la moglie perché incastrato in una vita monotona e senza slanci, agli episodi di violenza sessuale da parte del giovane diacono dilaniato dalle sue passioni, passando anche per la scarsa sensibilità di figure autorevoli come la sua insegnante; per esplorare poi situazioni di bullismo, emarginazione sociale, crudeltà, morte.

Dolori indicibili, piccole crepe sottili che messe insieme dilaniano e forgiano una personalità in formazione che si dibatte tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, cercando di trovare in ogni situazione una propria voce, un personale punto di vista.

In tal senso è evincibile un sentimento contrastante nei confronti della vita di campagna caratterizzata dal lento intercedere delle stagioni con inverni rigidi e lunghissimi, al susseguirsi di riflessioni e situazioni che acquisiscono un peso sempre diverso, in cui il “piccolo” diventa grande, una diceria, un pregiudizio diventa realtà e il “grande” sovrasta.

Forte è certamente l’elemento geografico con la descrizione di un paese, Rialzo, che diventa un vero e proprio paesaggio dell’anima, isolato e remoto, con i suoi tempi e le sue regole. Le persone che lo popolano sono rozze, spesso meschine e ignoranti ma nella narrazione viene lasciato spazio anche a piccoli stralci di resilienza e orgoglio degli eredi di quella civiltà contadina lombarda animata dal senso di comunità e sacrificio che palesa in gesti concreti di vicinanza per i compaesani e che concepisce il “paese” come il solo mondo possibile.

Stilisticamente il libro raccoglie e unisce una struttura narrativa lineare e unitaria. Diversi episodi all’inizio sembrano pensati come racconti, avventure vissute dallo stesso protagonista che mettono in luce la vita di provincia e quanto si annida tra le sue pieghe più profonde.

Significativa anche la divisione in stagioni che fonde alla narrazione personale e biografica quella di un territorio che segue con le sue logiche un processo di crescita e cambiamento, dall’inverno a un nuovo settembre, simbolo speranzoso di un nuovo inizio.

Piatta è la campagna è impulso e immediatezza, racconto personale e universale, sfogo e conforto, desiderio e paura, stasi feconda che porta con sé una scintilla di cambiamento.

Ne derivano pagine intrise d’amore per le proprie origini. Un amore compatto e disilluso, per niente edulcorato per un mondo difficile da riattivare nel presente. Un amore ingombrante eppur grato per quei desideri a volte coscienti, a volte vaghi o lontani, che hanno permesso di guardare oltre, evolversi e, alla fine, salvarsi.  In definitiva, per accogliere cosa si è stato, comprenderlo, elaborarlo e proseguire altrove non dimenticandosi mai il proprio nome.

Lorena Carella