Rosamund Gray è un racconto breve del 1789 dello scrittore inglese Charles Lamb, amatissimo dall’anglista Mario Praz, dalla struttura elastica, e composto da inserti lirici, frammenti epistolari e divagazioni filosofico-esistenziali che narra del triangolo che stringe, con risvolti tragici, due uomini di opposto valore morale a una sventurata e candida fanciulla.

Rosamund, è una “giovinetta di quattordici anni”, un personaggio indimenticabile; una dolce fanciulla che prega e ama sua nonna, un fiore delicato che ancor prima di affacciarsi alla vita, viene calpestato dalla brutalità degli uomini:

“Rosamund scese furtivamente le scale, tirò il saliscendi dietro di sé e lasciò il cottage. Una sola persona che la conosceva la incontrò e la guardò con una certa sorpresa. Un’altra ricorda di averle data la buonanotte. Rosamund non fece più ritorno al cottage… La notte e il silenzio furono i soli testimoni della disgrazia di questa povera fanciulla”.

La cura del racconto è affidata al protagonista innamorato di Rosamund, Allan Clare, ma all’anonimo amico medico, distante dagli eventi per raffreddarli, al fine di rendere una testimonianza autentica. Come in un romanzo di Thomas Hardy, il destino del personaggio si compie su una scena circoscritta e di essenziale nudità. Il narratore di Rosamund Gray è alla ricerca di un tono medio, che eviti le tinte estreme pur mantenendosi, come Rosamund del resto, ad un passo dal “perfido abisso”. Un tono che non diventi mai apertamente confessionale e intimo.

Questo racconto giovanile di Lamb rappresenta, nell’immaginario dell’autore, il luogo di un agone con il novel settecentesco, una forma presente in absentia, evocata per essere negata e combattuta nella ripresa dei suoi archetipi tematici e stilistici fondamentali, tutti, dalla virtù perseguitata alla scambio epistolare, suggeriti per essere scartati, secondo un principio sterniano di ironia metanarrativa, che lascia largo spazio, nelle maglie del testo, all’inserimento del lettore, all’esercizio delle sue abilità creative.

“Il mestiere di vivere, con le piccole deliziose interruzioni offerte dalla nostra corrispondenza, come è piacevole! Perché non possiamo dipingere sull’opaca carta i nostri sentimenti tutti interi, intensi come sorgono?

Nell’ottico di un romanticismo antieroico, a Lamb interessa assicurare il transito in area ottocentesca di una prosa quotidiana, piana, senza le connotazioni violente del romanzo gotico né quelle avventurose. Una misura austeniana calata nello stampo piccolo londinese del circolo intellettuale della prima generazione romantica cui appartiene l’autore.

Lo sforzo è quello di indagare all’interno dell’innocenza di Rosamund Gray, la presenza del male, come suggerisce il nome stesso Rosamund (innocenza) Gray (grigio, macchia originale). Una sorta di “rosa malata” alla William Blake, in cui si fondono eros e thanatos.

L’atto retrospettivo della scrittura non è solo proustiano recupero dell’emozione ricordata in tranquillità, ma anche rimozione e oblio: in questo senso, dietro al ritorno del narratore ormai orfano, sui luoghi dell’infanzia, dietro al compianto di Allan per Rosamund e la sorella, affiora forse l’inconscio dell’autore, il suo lutto, la sua malinconia per l’abbandono originario, la sua condivisione di una colpa archetipica.

Siamo davvero, in misure diverse, tutti colpevoli di qualcosa? Nessuno può dirsi totalmente innocente?

Anna Lina Grasso