Ashley Kahn è un critico vecchio stampo, ma allo stesso tempo modernissimo. Il perché è presto detto, anzi, proverò ad articolare il discorso meglio dopo. Prima Ashley va incorniciato nel contesto attuale: statunitense, secchione, sempre sorridente. Giunto ormai anni fa alle cronache musicali per i suoi lavori enciclopedici sulla Impulse Records e Miles Davis, Kahn pubblica ora (sempre per l’editore cha ha curato i suoi precedenti lavori tradotti in Italia) una specie di summa delle sua opera e pensiero.

Il rumore dell’anima. Scrivere di jazz, rock, blues opera su due livelli, diciamo. Il primo è quello dello storiografo musicale. Intanto il volume è corposo, e questo gli permette di ospitare un’abbondante quantità di saggi. Perlopiù di area classica. Kahn scrive soprattutto di Bob Dylan, Stevie Wonder, Otis Redding, Alice Coltrane, Nina Simone, Bilie Holiday. Una sorta di predilezione per la musica afroamericana, si sarà intuito. E poi ancora: George Harrison, Bruce Springsteen, Stan Getz, Dave Brubeck, Lester Young, Mavis Staples. I saggi sono – tranne alcuni casi – piuttosto fitti e zeppi di fonti. Il che rende paradossalmente Kahn più contemporaneo dei suoi contemporanei. Gli interventi long form qui presenti e assai documentati sembrano abbracciare quella volontà odierna da parte di molti siti web (anche di estrazione musicale, si pensi al celeberrimo pitchfork.com) di andare oltre l’idea di una scrittura ipocalorica.

Se del primo aspetto storiografico abbiamo detto, va spesa qualche parola invece sul secondo: quello artigianale di Kahn. Negli ultimi anni la musica è esplosa. Nell’offerta (musica ovunque, sempre, su piattaforme diverse e in coda in banca con emittente “monomandataria” a gestire il traffico sonoro) e nella sua analisi. Tutti vogliono scrivere di musica. Anzi, tutti scrivono già di musica. Il music writing è uno zoo con poche gabbie e ancora meno regole. Chi volesse misurarsi professionalmente con questo mondo farebbe bene a dare una lettura approfondita al volume di Kahn. Per un paio di ragioni almeno. Kahn non solo scrive benissimo, ma dispensa un uso solido delle fonti. E, soprattutto, in apertura di libro, verga una specie di decalogo professionale da seguire per chi vuole scrivere di musica. Che non è il caso di spoilerare. Basti però dire che se chi scrive per professione si attenesse alle regole suddette, il mondo del music writing sarebbe assai meno hobbystico di quanto (purtroppo) non sia.

Rossano Lo Mele

 

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