“…uno dei più grandi visionari di tutta la letteratura mondiale”, così Ray Bradbury, autore del libro Fahrenheit 451, fu definito da Aldous Huxley (autore di un altro esempio di letteratura distopica: Brave New World). La cosa più affascinante, o forse anche la più inattesa, è che un altro autore, non letterario, e forse neanche troppo distopico, ha deciso di fare le sue visioni di Bradbury, e di trasformare delle pagine in celluloide in maniera talmente convincente che, a mio avviso, confonde la paternità dell’uno e dell’altro ‘testo’ con l’uno e l’altro ‘autore’. Questo autore è il regista francese François Truffaut che nel 1966 dirige, appunto Fahrenheit 451. Truffaut prende l’elemento distopico e lo trasforma in immagini senza appesantire la storia, ma lasciando solo “sentire” quella felicità alienante e fasulla che ne è la componente fondamentale. Fahrenheit 451 è, in entrambi i testi, un Inno all’Uomo e diversamente da altri testi dispotici fa in modo che l’uomo riesca a liberarsi dal Grande Fratello (rappresentato, anche in Fahrenheit 451, dal Video) e ritrovi un’identità che sente appartenergli da sempre. Ed è proprio la speranza, o la falsa speranza, che differenzia questo testo dagli altri testi catalogati in questo filone letterario: basti considerare il libro di G. Orwell 1984 che è, invece, un Inno all’annullamento dell’Uomo e della sua Mente e che in entrambe le versioni, cinematografica e letteraria, e a mio avviso, il “manifesto” (anche se postumo) della distopia.
Con mezzi tecnicamente diversi i due autori sono portatori di eguali valori.
L’Amore, l’Amicizia, la Cultura, il semplice piacere di immergersi nella lettura, e di sentirsi avvolti e coinvolti in quello che viene descritto quasi come un irresistibile e avvincente gioco infantile – c’è ad esempio una scena in cui Montag (il ‘pompiere’, protagonista del libro-film) alla luce del Video inizia il suo lungo viaggio nel mondo della tanto condannata Lettura, e da cui poi non saprà sottrarsi fino a giungere alla scelta definitiva di ribellarsi al cliché impostogli e di fuggire nella terra degli Uomini-Libro sono temi maggiormente cari ai due autori, e se l’uno utilizza attori e inquadrature per trattarli e renderli paradossalmente reali e tangibili, l’altro ce li fa immaginare con parole scritte; ma la cosa fondamentale è che tutti e due si sentono e si riempiono reciprocamente, dandosi e non togliendosi.
Fahrenheit 451 corrisponde alla temperatura di cui libri hanno bisogno per prendere fuoco e per diventare cenere. Il protagonista è Montag, un “pompiere” capace sul lavoro e un “non uomo” (ovviamente senza rendersene conto) nella vita privata. Sua moglie Linda è una video-dipendente imbottita di eccitante il cui unico atto vitale di svolta in tutto l’evolversi della vicenda (che precisamente comincia quando Montag ruba un libro) sarà quello di denunciare il marito e di abbandonarlo. Chiudiamo sulla scena del bosco degli uomini-libro in cui un uomo che sente gravoso il peso degli anni, ripete senza timori indugi La chiusa di Hermiston al giovane nipote affinché lo impari a memoria e lo tramandi senza paura che possa diventare cenere. A questo punto sorge una domanda, che esula dalla questione posta: “È forse più giusta una società in cui gli uomini si chiamano ‘Pregiudizio’, ‘Orgoglio’, ‘Il principe’, ‘La repubblica’?”
Marisa Barile
“Fahreneit 451 è la temperatura necessaria per bruciare un libro.”