« […] Le ragazze dicevano che dovevo leggere molto, una matricola mi prestò dei best seller e il primo fu quello della Tamaro.
Mi sembrò un libro impossibile: se io fossi andata dove mi portava il cuore, sarei rimasta incinta a tredici anni nell’Ape di Totonno il pezzaro.»

Niente pizza o mandolino o mare da cornice.
No.
Un susseguirsi quasi febbrile di eventi, di storie, di sensazioni.
Realtà, cinismo ed ironia, tutto sapientemente racchiuso in poche, pochissime pagine.
Talmente rapide che senti il lutto del distacco troppo velocemente.

Racconti. Napoli. Donne.

Sono i loro occhi a farci da navigatore all’interno di sentimenti, vie, terremoti.
Appartamenti di lusso, campagne elettorali, discariche abusive a cielo aperto.

Una Napoli che sta a metà tra la voglia di capirla e il viverla subendola, quasi fosse un destino amaro ed irrevocabile.

Un linguaggio unico, un cocktail che shakera vocaboli perfetti a gergo popolare.

Il risultato è un fluido armonico, scorrevole, che si fa bere. Con ghiaccio o come piace a te.

È un libro di esordio.
Che se tutti gli inizi fossero così, uno non vorrebbe mai porre fine a nulla. Neanche ai pranzi di famiglia.

«Se tonno + gru = rettile , allora  mosca + balena = ?»

Io non so. Sono figlia di una prof. di matematica ero nelle equazioni ero un disastro.

Entro ancora in crisi quando nelle ricette leggo “q.b.”.

Penso che sia una formula matematica e alloro prenoto una pizza.

«Quando manca ormai solo mezz’ora alla campanella finale, i bambini non li tiene più nessuno, non serve parlare, stare zitti o urlare, non c’è materia che tenga: sono stufi marci, vogliono l’aria, e per la verità anch’io friggo per andare via. Allora li portiamo fuori in cortile, e sotto la pioggerellina cancerogena dei reattori al massimo della potenza organizzano un gioco. Lo propone Lello: «Si chiama il lupo mangia-frutta, maè: il lupo corre appresso alla frutta, se la prende, allora diventa lei lupo. Il muro è CASA».

«Dopo tre o quattro di queste spiegazioni, sento uno che, avvilito, dice di me: «Ma chesta nun capisc’niente».
Penso che ha ragione e comunque preferisco tentare con la pratica, quindi dico: «Va bene! Sistematevi: io faccio il giudice!»

Veramente non avevo capito niente: loro volevano che io giocassi. Faccio il kiwi. Sono un kiwi. Quando vengo chiamata comincio a correre forte, con un bambino che mi insegue e gli altri agitatissimi che tifano; le mie colleghe si aspettano che io, a un certo momento, rallenti per farmi raggiungere.

 Ma io gioco per vincere, a trentadue anni, e non mi prende nessuno».

Valeria Parrella+Mosca+balena = libro da leggere

Tu che non lo fai = ?

Natalia Ceravolo