Numero 16 | Gennaio-Febbraio 1999

1987-PRIMAVERA-ENTRO

Marco entra in camera mia, il chiodo sgualcito, i pantaloni macchiati di birra, gli anfibi slacciati, sporchi.

È arrivato da Torino in treno, fa caldo, il primo dell’anno.

Il mio vecchio stereo portatile poltrisce sul pavimento masticando l’ultimo successo di Little Steven

Marco spegne <STOP>

Preme il pulsante <EJECT>

Poi tira via la cassetta bianca una, due, tre volte sul pavimento

«Cuginetto» mi dice «devi smetterla di inquinarti le orecchie con ‘sta merda americana…

Adesso ti faccio sentire qualcosa di serio, di cazzuto, di italiano»

<PLAY>

«SPARA YURIJ SPARA, SPERA YURIJ SPERA
FELICITAZIONI, FELICITAZIONI FELICITAZIONI!»

Il mio pigro, pigrissimo stereo, si dimena tossisce, vomita quei suoni, cattivi indigesti, mentre la mia faccia pustolosa di adolescente di provincia, viene ripetutamente presa a schiaffoni da quelle onde maligne… la terapia è cominciata.

CCCP

«Sto meglio, peggio, meglio, peggio… qualcosa più di niente… Qualcosa più di niente!!!»

C’è dell’ironia, della provocazione, c’è l’amore per l’obsoleto, per il vecchio, non l’antico… il postmoderno, c’è un suono di chitarra stridulo e una voce urlante, c’è un nerboruto chirichetto sadomaso e una soubrette un po’ matrioska un po’ gheisha

Così appaiono i CCCP, un’entità strana, maligna, sicuramente inquietante hanno costruito un tempio sui rifiuti dei consumistici anni ’80, hanno guardato al nostro mondo occidentale con gli occhi di un’Emilia paranoica e filosovietica, hanno giudicato i buoni con il metro dei cattivi e curato i sani con il veleno dei malati.

I CCCP nascono nell’Europa dei paninari e degli yuppies tra il punk berlinese e il liscio romagnolo, al mito americano antepongono quello sovietico… loro unico scopo: la provocazione, pura e semplice.

I CCCP scioccano i media, li attraggono anche se intimamente li detestano, gli anni passano e poco a poco arriva il successo nazionale, quello delle rockstar, ma ormai tutto è cambiato, il muro è crollato e ha portato via con sé pankow e l’Unione Sovietica e sotto quei detriti spariscono anche loro, troppo coerenti con se stessi per entrare nei meccanismi dello showbusiness, troppo legati a un mondo ormai svanito con la sue trabant e la sua mitologia di fuoco e acciaio

C.S.I.

Niente a che fare con i CCCP, non c’è continuità se non per i due personaggi in questione: Zamboni e Ferretti, i quali, tuttavia hanno maturato un’attitudine diversa: il primo è riuscito ad avere un rapporto meno conflittuale con la sua chitarra, il secondo ha sostituito le urla feroci con un più (in)quieto sussurrare, parlare, cantare (forse). Il resto è musica, è poesia, leggera come un macigno e calda come un cubetto di ghiaccio proprio lì, sulla schiena; tonalità basse, sotterranee, linee di basso sagge e tastiere sorprendenti, carezze detonanti e sussurri strazianti.

I CSI sono forse meno provocatori dei CCCP, ma non meno ‘abrasivi’, più intimi e riflessivi sono la parte ‘chiara’ di una storia iniziata ormai tanti, tanti anni fa.

-ESCO-

Beh, del libro non ho parlato molto, non perché non ne valesse la pena, ma perché la storia di Zamboni e Ferretti non si può capire se non si è dentro la loro musica, la loro bella avventura, su e giù per l’Europa deve essere necessariamente accompagnata da quei suoni; la teoria qundi è questa: un libro su di un gruppo musicale non ha vita a se stante, esiste solo in relazione alla musica, ne è complemento e approfondimento anche se scritto in maniera originale come questo.

Stefano Balocco

Il libro nel 1999

Fedeli alla linea di Alberto CampoAlberto Campo (a cura di)
Fedeli alla linea. Dai CCCP ai CSI
Giunti 1997
pp. 142, L. 38.000

Il libro attualmente è fuori catalogo