Avrei voluto avere più tempo da dedicare a questo libro, che invece mi è arrivato per un caso fortuito solo la settimana scorsa. Infatti non è stato scelto da me, che mi sarei buttata su un bel poliziesco, ma da una mia amica curiosa di capire. E così alla fine è servito anche a me, per provare a cogliere il significato umano della definizione-non definizione dell’aggettivo queer.

Il libro non ha una vera e propria trama, ma sette personaggi perfettamente delineati, le cui vicende e i cui sentimenti si intrecciano fra loro. Per ciascuno di loro varrebbe la definizione queer, declinata per ognuno in maniera personale. Ma, man mano che si svelano al lettore, nessuno di loro è poi così strano/bizzarro/anormale, come li vorrebbe il significato letterale della parola, semplicemente sono tutti degli Animali bianchi. “Eravamo animali albini usciti dai sotterranei della città per sconvolgere i perbenisti. Se la società pretendeva una scelta per cucirci addosso un’etichetta, il limbo dell’indefinitezza era l’unico rifugio sicuro”.

Per Fran, una dei protagonisti, quest’indefinitezza si declina nell’essere “androgina, non-binary, non lasciarsi incasellare nel femminile e nemmeno nel maschile, non effettuare alcuna transizione”.

 Anche per Lucy, inizialmente drag queen ad un passo dall’essere transgender, l’androginia può essere l’unica definizione, quando “ad un certo punto della vita ho messo in discussione anche la terapia ormonale e l’operazione, insomma, il percorso stabilito. Mi piaceva il mio corpo in bilico tra due pianeti, androgino come possono esserlo soltanto gli angeli. Indefinibile, perfetto, asciutto e allo stesso tempo flessuoso.” E spiega che “in passato non riuscivo a vedere chiaramente i miei contorni, avevo dubbi sul mio stesso genere, non c’era nulla che potesse calmarmi. Ora non dico di avere sistemato tutto, ma non ho più paura, non mi spaventano le definizioni, anche se io non rientro in alcuna di esse, posso essere luna, elfo, coniglio, sono il ribaltamento di tutte le categorie, sono queer, e questa è una cosa mia. Io non ho più paura, ma dovete averne voi perché sta arrivando una schiera di angeli che farà la rivoluzione. Non ho più paura della vostra apertura culturale posticcia, che nasconde un’anima ancora democristiana. Non conoscete nemmeno il nostro linguaggio. Ci sono ancora giornalisti che parlano di uomini, donne e gay. Ma ce la fate?”

Amen, uomo bisessuale, amante fra gli altri anche di Lucy, riassume la sua identità così: “Lucy pensa che ci siamo lasciati perché io credo ancora al gioco di Adamo ed Eva. Ma va, non sono così ingenuo, più che il genere considero la persona, il fascino.” E Amelia, masochista ed altra amante di Amen, ha molto chiaro perché gli animali bianchi siano portati a nascondersi: “Don’t ask, don’t tell è ancora la regola quasi ovunque intorno a me, e anche per me: il sesso e le sue conseguenze devono rimanere argomenti molto privati, cacciati in fondo a bauli stipati di lenzuola ricamate e naftalina. Se l’amore si traccia nei solchi di genere, nei passi della tradizione, il sesso va nascosto insieme ai suoi segni, e io ne ho tanti sulla pelle. È tutto ancora immobile se Fran non poteva camminare mano nella mano con la sua ragazza, se non poteva baciarla in pubblico per non subire le attenzioni degli uomini che credevano fossero siparietti per aumentare la loro libido. Era stata anche cacciata da un locale perché aveva baciato Rosalie, le accusarono di essere esibizioniste e le accompagnarono fuori, mentre piangevano umiliate.” “È normale che la religione cattolica abbia creato problemi a molte persone, […] non è facile da estirpare il senso di colpa radicato molto a fondo, nell’infanzia inginocchiata nelle chiese buie”.

E così queste anime di provincia, che non hanno il coraggio di andarsene lontano e rivelarsi al mondo, intrecciano le loro vite, occupati a fare quello che tutti fanno: cercare la felicità, ognuna a modo proprio.

Giorgia Rosada